Insegnare il fair play nelle scuole, quindi “A Scuola di Fair Play”, non soltanto come titolo della campagna organizzata con “Vivere da Sportivi” per sensibilizzare i ragazzi degli istituti di studio nel Paese, non è soltanto uno dei tre progetti di lavoro annuali del Comitato Nazionale Italiano Fair Play, ma un preciso invito a concentrare nell’ambito scolastico gli investimenti di orientamento culturale, utili a cambiare significativamente l’atteggiamento dei giovani rispetto al divenire della società civile in un clima di crescente sofferenza, proprio per le carenze educative nell’ambito scolastico. Qui chiaramente viene tirato in ballo lo Stato e per esso il Governo del Paese, che avrebbe il sacrosanto dovere di progettare e investire culturalmente in un futuro ripulito dai germi dello stile di vita scorretto, del bullismo, dello sballo, del fumo, del non rispetto. Ma, per questo, occorrono buoni progettisti e buoni maestri, una scuola risanata nelle sue strutture, resa sicura e accogliente, investimenti adeguati. L’allora Ministro della Pubblica Istruzione del Regno, nel 1878, aveva provveduto per legge ad introdurre la ginnastica educativa nelle scuole di ogni ordine e grado, a cominciare dalle Elementari. Oggi dovrebbe iniziare in età prescolare e secondo i principi dell’altra gloria italiana dell’educazione, Maria Montessori. Siamo invece di fronte ad una masochistica regressione, con i laureati in scienze motorie a spasso e i ragazzi senza guida certa e razionale. In poche parole, siamo di fronte ad una situazione senza capo né coda, posto che l’attività motoria e sortiva nelle università italiane è completamente marginalizzata, salvo le attività preziose ma elitarie dei CUS.
Ogni intervento fatto da soggetti terzi, volontari, non esplicitamente preposti, come noi stessi che rappresentiamo il mondo dello sport e in particolare da coloro che si occupano e preoccupano della promozione dei valori essenziali per l’etica del vivere e del convivere, risulterà assolutamente prezioso, ma anche relativamente efficace, perché è giunto il momento di fare sul serio, essendo ormai visibile una linea di demarcazione oltre la quale tutto diventerà molto più complicato. Dobbiamo oggettivamente riconoscere che quanto si è fatto dagli anni settanta in poi, a lìvello internazionale e dal 1994 a livello nazionale, in collaborazione con il CONI, con i ministeri dell’interno, della salute e della pubblica istruzione, gli enti locali, l’associazionismo nelle diverse declinazioni, ha risposto più all’enunciare e all’apparire, che non all’esigenza radicale di una azione, che deve essere di autentica rifondazione di principi e comportamenti, dentro e fuori dalle strutture sportive e soprattutto nel vivere di ogni giorno, in cui il rispetto delle regole e lo stile di vita corretto dovrebbero ispirare ognuno di noi, facendo del fair play la normalità e non l’eccezione. In una situazione come quella in cui ci troviamo, l’iniziativa reiterata con successo da “Vivere da Sportivi” deve essere considerata alla stregua di una benedizione e dovrebbe essere enfatizzata e sostenuta, più di quanto già non avvenga, prendendone esempio e spunto per ampliare al massimo il dialogo tra le parti sociali, che sono protagoniste nell’ambito scolastico. Il Comitato Nazionale Italiano Fair Play svolge una azione costante di sostegno e incoraggia iniziative ispirate ai valori etici e dello sport, ma lo fa con maggiore trasporto, come in questo caso, quando non si tratta di iniziative di carattere episodico. A Scuola di Fair Play ci chiama direttamente in causa e pone in grande evidenza il ruolo della comunicazione, cosa che ha già impegnato quest’anno il Comitato Nazionale Fair Play con il coinvolgimento di oltre trecento operatori, con l’Ordine Nazionale dei Giornalisti, le federazioni e l’associazionismo sportivo. Per concludere, A Scuola di fair Play è straordinaria manifestazione di sensibilità, di cui ci dobbiamo compiacere, in attesa che si compiano scelte risolutive che facciano divenire la nostra società davvero civile.
Ruggero Alcanterini