“Vogliamo far capire agli italiani di oggi che l’abbandono del Friuli Venezia Giulia fu radicale e sconvolgente e ricordare anche i sacrifici fatti da quel popolo per rimanere italiano” ha dichiarato il presidente del Comitato 10 febbraio Alessandra Duma”.
Le foibe sono cavità carsiche di origine naturale con un ingresso a strapiombo. È proprio in quelle voragini dell’Istria che fra il 1943 e il 1947 furono gettati, vivi e morti, quasi diecimila italiani. Gli eccidi delle foibe ed il successivo esodo costituirono l’epilogo di una secolare lotta per il predominio sull’Adriatico orientale che fu conteso da popolazioni slave (prevalentemente croate e slovene ma anche serbe) e italiane. Durante la Seconda guerra mondiale le tensioni si acuirono e in seguito alla firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943 esplose la prima grande ondata di violenza in Istria e Dalmazia dove circa un migliaio di persone tra fascisti e italiani non comunisti vennero massacrate e gettate nelle foibe dai partigiani slavi. La violenza aumentò nella primavera del 1945 quando le truppe del Maresciallo Tito occuparono Trieste, Gorizia Istria e Fiume: una carneficina contro i non comunisti che proseguì fino al 1947, quando fu ratificato il trattato di pace che pose fine alla Seconda guerra mondiale e che fissò il confine tra l’Italia e la Jugoslavia.
Ma il dramma degli istriani e dei dalmati non finì, poiché ceduti questi territori a Tito trecentocinquantamila persone si trasformano in esuli e fuggirono in Italia. Le motivazioni per le quali questa tragica pagina della storia del Novecento è stata fino a qualche anno fa poco conosciuta sono di origine politica: innanzitutto perché dopo il conflitto mondiale il PCI, come dimostrano alcuni studi in merito, ebbe un ruolo importante nella ricostruzione e per la vicinanza di Palmiro Togliatti a Tito, in secondo luogo a seguito della rottura dello stesso Tito con Stalin non si ritenne opportuno parlare di questa tragedia in un momento tanto delicato.
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