Ieri, l’Italia ha celebrato il Giorno del Ricordo per non dimenticare le vittime precipitate nelle foibe, in Istria, nel concludersi della Seconda Guerra Mondiale, orribile conseguenza di una cinica spartizione territoriale post-bellica, sfociata in una massiva pulizia etnica nei confronti degli italiani in Istria, a prescindere dall’orientamento ideologico. Una per tutte, tra quelle dei sopravvissuti, vi propongo la testimonianza del Campione Olimpico Abdon Pamich , nato a Rjeka (Croazia, già Fiume, Italia) il 3 ottobre 1933, marciatore, medaglia d’oro della 50 km alle Olimpiadi di Tokyo (1964), bronzo a quelle di Roma (1960) campione europeo nel 1962 e nel 1966, primatista del mondo nel 1961 sempre sulla massima distanza olimpica, non trascurando lo studio e il lavoro, con due lauree in sociologia e psicologia, quindi divenendo dirigente della Esso.
Dunque, la lunga marcia di Abdon, da Rjeka a Tokio, con una carriera sportiva ultraventennale sulle strade del mondo, percorrendo oltre dodicimila chilometri l’anno, proponendosi come il camminatore per eccellenza. Abdon Pamich, ancora in perfetta forma, racconta del suo forzato esodo, settantasei anni fa: “Avevo 14 anni, quando con il mio fratello maggiore, Giovanni, decidemmo di metterci in cammino per raggiungere nostro padre, Giovanni, che era andato in cerca di lavoro a Milano. Fiume era diventata terra inospitale per gli italiani: il 27 settembre 1947, per me iniziò la gara della vita, che si concluse due mesi più tardi, in un campo profughi di Novara, passando per Udine, Milano, con camminate notturne, treni merci presi al volo, nonché l’aiuto fondamentale di una famiglia triestina, che riuscì a farmi passare il confine spacciandomi per un proprio figlio”.
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