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Editoriale

Negli USA il “politically correct” produce disastri

Negli USA il “politically correct” produce disastri. Ciò che risulta in crisi, nell’America attuale, è la cultura intesa nel senso più vasto del termine. Ovvero il settore che ha garantito il soft power degli Stati Uniti e la diffusione della American way of life nel mondo.

La crisi si manifesta, in primo luogo, nelle università americane (e anche britanniche) con la diffusione senza limiti del politically correct, un fenomeno che impone la diffusione di un pensiero unico al punto di impedire di parlare a chi non è d’accordo con determinate tesi.

Non solo. Acquista sempre più forza la tendenza a licenziare docenti, anche famosi e in molti casi per niente reazionari, che non si adeguano a tesi preconfezionate spacciate come “verità assolute”.

Il problema è che non si tratta di casi relativi a piccoli college dell’Arkansas o del North Dakota. Ad essere coinvolti sono soprattutto gli atenei più prestigiosi come Harvard, Princeton, Yale, MIT etc. Dunque proprio quelli che in teoria sono il cuore della cultura americana, e che ogni anno riescono ad attirare milioni di studenti stranieri.

Poiché in un primo tempo sembrava una tendenza “di sinistra”, studiosi e docenti, in grande maggioranza progressisti, lo appoggiarono volentieri. In seguito i più accorti tra loro, soprattutto gli anziani come Noam Chomsky, iniziarono a fiutare il pericolo.

Se tu togli d’ufficio la parola a chi non concorda con te, e se poi fai addirittura pressioni per licenziarlo, compi un attentato contro la libertà d’espressione nel suo complesso. Stravolgi inoltre le caratteristiche principali della comunicazione culturale nel tuo Paese (gli Stati Uniti).

Tale cultura diventa insomma “illiberale”, poiché toglie il diritto di parlare agli avversari. E questo – almeno finora – in America non era possibile. Lo era invece nella Cina della Rivoluzione Culturale maoista, e lo è tuttora in quella di Xi Jinping.

Come possono allora gli americani convocare summit globali sulla democrazia, accusando i Paesi non invitati di non rispettare i diritti umani e la libertà di espressione se poi, a casa loro, si verificano fenomeni simili?

Il governo USA non è direttamente responsabile di questa situazione, poiché i suoi atenei sono politicamente autonomi. Potrebbe tuttavia difendere con maggiore convinzione il diritto alla libera espressione delle idee, e proteggere il dissenso ovunque essi si manifesti.

Se ciò non avverrà avremo una conseguenza curiosa. Gli studenti provenienti dalla Repubblica Popolare Cinese si troveranno in un ambiente culturale più simile al loro di quanto potessero immaginare, e diminuirebbe così la distanza culturale tra le due maggiori potenze globali del mondo contemporaneo.

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Michele Marsonet

Filosofo, Professore di filosofia della scienza e metodologia delle scienze umane, Presidente del dipartimento di filosofia e vicerettore per le relazioni internazionali dell’Università di Genova

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