Marina Rossi, fotografa creativa dalla corte di Franco Fontana, sarà presto in mostra a Roma con alcune immagini tratte dal suo Claustrofobico Metropolitano.
La sua storia fotografica puo’ essere riassunta con una parola chiave: passione.
Ha iniziato a fotografare per hobby; questo le permetteva di evadere dal mondo arido del lavoro e dalla quotidianità, forse anche in maniera impersonale, senza riflettere, ma sempre cercando di catturare istanti di vita al fine di conservarne un tangibile ricordo. Solo in seguito e forse anche un pochino tardi ha capito che proprio la fotografia era la sua particolare forma espressiva e ha quindi sentito la necessità di iniziare il proprio percorso di ricerca. Oggi Marina Rossi è una artista molto apprezzata, che appartiene al gruppo degli allievi del grande Maestro internazionale Franco Fontana, e che con lui spesso espone in giro per l’Italia nelle collettive “Quelli di Franco Fontana”.
Inizialmente ho pensato che non mi sarebbe bastato essere autodidatta, e mi sono quindi iscritta a corsi di fotografia, di sviluppo e stampa; frequentavo workshop e partecipavo a concorsi fotografici. Da una parte cercavo di acquisire punti di vista nuovi e dall’altra superavo la mia naturale timidezza verso il confronto e la competitività – cosi’ esordisce Marina quando inizio con lei la mia intervista al telefono, chiedendole di questa prossima exhibition che la vedrà tra i protagonisti all’Istituto Culturale e Didattico dell’Ambasciata Araba d’Egitto.
Hai seguito o no le orme di Fontana?
“Fotografate quello che pensate” è quello che ripete sempre Franco Fontana.
Seguendo le orme del proprio pensiero non è possibile divenire dei Fontanini come dice lui: si è solo se stessi!
Perché pensi che il grande Maestro ti abbia scelta?
Probabilmente perchè ha colto nei miei lavori l’espressione delle mie sensazioni o forse perchè banalmente gli sono piaciuti i miei lavori?…beh, sicuramente quelli che mi ha fatto esporre nel gruppo QdFF sono stati ritenuti da lui interessanti, non da ultimo “Muro Bianco, Muro Nero”.
In che modo sta cambiando la fotografia?
Il mondo cambia incessantemente e la fotografia ne segue i mutamenti. E’ nell’ordine naturale delle cose, le idee e le espressioni artistiche seguono il cuore pulsante del progresso. Il modo di “sentire” il presente non può essere ancorato al passato, non sarebbe plausibile fotografare come negli anni ‘20 o nei ‘60 e non è solo una questione di tecnologia: sicuramente quest’ultima ci aiuta, ma non è il motivo principale, gli stimoli esterni sono totalmente differenti e portano l’occhio a vedere realtà mutate.
Parliamo del tuo lavoro.Quali risultati ha prodotto, quali che si distinguono in singolarità? Quali riflessioni e scelte, sottese alle immagini, avevi urgenza di rendere visibili?
Tutto parte sempre da un’idea, un’ispirazione del momento. I temi sono svariati, da quello intimista di “Claustrofobico Metropolitano” a quello sociale de “il Quinto Elemento” dove ho voluto porre lo sguardo sul futuro delle nuove generazioni. Diciamo che i temi sociali sono quelli che mi danno maggior ispirazione, forse perché ritengo sia l’unico modo per far sentire anche la mia voce.
Nel 2014 con Franco Fontana ho esposto “La Sottile Linea” che parla in simbolismi di emarginazione femminile, ma soprattutto di scelte coraggiose. Ogni foto rappresenta una storia di vita vissuta, ma in una raffigurazione creativa, nulla a che fare con il reportage.
Il mio principale obiettivo è proprio la singolarità, il non ancora visto…si percepisce dal fatto che i miei progetti per la maggior parte si avvicinano più alla digital art che non alla fotografia nel suo reale significato.
Quali sono le influenze esterne e convergenti, oggi, che ispirano il linguaggio espressivo della fotografia?
Oggi la fotografia aiuta molto questo mondo schizzato che ha necessità di bombardarci con miliardi di notizie in brevissimo tempo. L’immagine racchiude in uno scatto ciò che si vuole mettere in evidenza, spaziando dalla pubblicità alla cronaca. Le strade delle città sono ossessionate dalle immagini affisse ovunque e il nostro occhio anche non volendo acquisisce tutto ciò e lo riporta. Basta andare sui social network e guardare le foto che ormai tutti hanno la possibilità di fare con tablet e cellulari.
Cosa pensi dell’inarrestabile progresso tecnologico in fotografia e quanto influisce sul tuo lavoro?
Come si può vedere dai miei lavori io faccio uso della tecnologia per la post-produzione. Negli anni 60 certe cose le potevi fare solo in bianco e nero; avere uno stampatore a colori non se lo potevano certo permettere tutti. Ora con Photoshop questo è possibile e non si parla di stravolgere la foto in sé, ma di potersi creare dei set fotografici virtuali.
Parlaci della tua presenza prossimamente a Roma con Claustrofobico Metropolitano.
Costretta a vivere in una sorta di soffocante cubo metropolitano, la ripetizione ossessiva dell’immagine attraverso il varco della finestra, giorno dopo giorno, allontana dalla realtà. Il disegno onirico diventa l’espressione diretta dell’inconscio ed emerge indipendentemente da qualsiasi controllo della ragione. L’uso contraffatto del colore permette di riportare alla luce le forme occultate nel subconscio proiettandole sull’immagine, nella loro simbologia, ed entrando direttamente in rapporto con la storia personale come in una “scena psicodrammatica”.
Gli schemi mentali sono radicati, difficili da abbattere, e provocano un costante senso di ineluttabilità. Gli istinti ancestrali emergono, ma vengono rapidamente ricacciati nel profondo. Tutto appare in un contraltare di emozioni che passano dal nero più cupo ad un abbagliante chiarore del cielo dove il desiderio illusorio di raggiungere il proprio appagamento interiore si identifica con lo scorrere delle nubi verso una meta lontana, non ancora identificata.
E dopo questa esauriente spiegazione, non resta che entrare con tutti i sensi possibili nell’incantato mondo di Marina Rossi.
Lisa Bernardini
Nella foto, una delle immagini di Claustrofobico Metropolitano