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L’editoriale del Direttore: LO SPORT IN NOME DELLA LEGGE (pubbl. su SPIRIDON)

Stando all’andamento o se preferite all’andazzo, la prospettiva che abbiamo o il rischio che si corre, è quello che lo sport lo si possa praticare per legge o in base ad essa, purché si giunga ad una sua definizione, ad un prodotto, cosa che appare complicata da fattori o addendi diversi. Il fenomeno è in corso da oltre settant’anni, almeno stando all’esperienza maturata a partire dal commissariamento del CONI con Giulio Onesti nel 1944. Nel nome del popolo italiano, anziché della legge, sarebbe la soluzione ideale e in qualche modo ci si era pur avvicinati al traguardo, appunto nel corso di questa lunghissima storia in cui, partendo dai presupposti più diversi, si è comunque pervenuti sempre all’identico risultato, ovvero quello che ad oggi vede sostanzialmente immutato lo stato dell’arte. Dunque, per l’ennesima volta, ad un passo dalla conclusione, l’insorgere di elementi ostativi e di dubbi circa i decreti attuativi, dettagli non meno importanti della stessa Legge, che pure era stata firmata dal Presidente della Repubblica giusto un anno fa, si profila un impantanamento. Ci si attarda su questioni dall’apparenza caprigna, ma in realtà di capitale importanza, perché il vero obiettivo emergente per le parti contrapposte sembra essere quello di smantellare l’antico potere e pure il nuovo. Diciamo che la confusione regna sovrana per la scarsa consapevolezza dell’importanza reale della materia del contendere, della fragilità e della volatilità di un sistema che, se al vertice gode di benefici e sostegni finanche esagerati, per un gruppo ristretto di oligarchi in parte eletti e in parte di nomina, di manager e funzionari non particolarmente esperti della materia, alla base e nel mezzo vive e sopravvive grazie ad un volontariato pervicace e diffuso, anche se frustrato dalla relativa sensibilità di legislatori e amministratori pubblici. La realtà è che siamo di fronte ad un ibrido, nato da un compromesso salvifico con il fascismo e penalizzante dopo settantatré anni di Repubblica, nella cui Costituzione la parola sport non ha trovato posto. L’Italia dei pregiudizi, prima il fascista e poi il repubblicano, ha fatto si che lo sport senza distinguo, quello per tutti e quello del business e dello spettacolo finisse in un unico calderone, ammantandosi dell’olimpismo e della sua presunta algida autonomia. Così il Bel Paese di Onesti, come quello di Olivetti e Mattei era vincente, un modello capace di performare livelli diversamente irraggiungibili, tale da porci tra i primi dieci paesi del mondo nella logica elitaria dei risultati agonistici, ma ben più indietro per l’aspetto sociosanitario. Insomma, per decenni ci siamo distratti con l’apparire e adesso ci rendiamo conto che siamo ben lontani dall’essere, che la pratica dell’attività sportivo-motoria non può rappresentare soltanto una eventualità, ma una vera e propria opportunità garantita e promossa come un diritto, tale e quale alla istruzione, alla salute, al lavoro. Tutto questo dovrebbe e potrebbe avvenire in virtù di un sostegno da parte dello Stato, che non può e non deve prevaricare l’esistente, con il rischio di distruggerlo, ma che può e deve far crescere in modo esponenziale la base del movimento, connotata da centinaia di migliaia di società e nuclei, milioni di animatori e praticanti, che poco hanno a che vedere con tutto quello che continua ad avere evidenza per i media e l’organizzazione federale, in cui prevale significativamente l’alto livello, che peraltro assorbe la stragrande maggioranza delle risorse attualmente disponibili. Diciamo che quel mezzo miliardo che alimentava CONI e CONI Servizi, con le gestioni di grandi eventi, strutture, preparazione olimpica, marketing, Scuola Nazionale, Biblioteca, Centro di Medicina, etc. è più o meno rimasto a disposizione di una organizzazione con un nuovo cartello in ditta, Sport e Salute, ma che mantenendo molte delle competenze e il ruolo del precedente CONI Servizi, nulla in più potrebbe fare, senza disporre di un adeguato finanziamento e di una articolazione che la protenda nella realtà, nel tessuto connettivo dei territori e della società civile in eterna attesa di un vero segnale. A parte la pioggerella dei “bonus”, che ha forse per la prima volta dato un riconoscimento economico a decine di migliaia di soggetti prima totalmente ignorati ed esclusi, il vero discorso è che ci si dovrebbe addentrare seriamente nel ginepraio di problemi che quotidianamente devono affrontare coloro che, senza nulla pretendere e spesso rischiando, promuovono per gli altri o praticano in proprio attività fisico-sportiva. Quando il nuovo AD e Presidente di Sport e Salute, Vito Cozzoli, idealizza un ruolo economico dello sport e pensa ad un significativo apporto per l’aumento del PIL – ahimè adesso iper depresso dal COVID – è nel giusto e dice una cosa sensata, posto che l’attività di decine di milioni di cittadini, peraltro in permanente movimento sul territorio, potrebbe significativamente incentivare consumi virtuosi, non effimeri, mantenere in efficienza impianti diversamente destinati alla fatiscenza, combinarsi con il turismo di conoscenza, migliorare significativamente la qualità generale della vita e appunto della salute. Purtroppo, però, nel caos dei provvedimenti legati all’emergenza, nel delirio annunciato dei miliardi da investire, non risulta che ci siano assegnazioni significative in grado di dare la giusta forza ad un progetto come quello preteso di promuovere una diversa cultura della salute, per tutti, dai bambini agli over 65, intervenendo oltre le competenze strette del Ministero dello Sport , che è senza portafoglio e sembra si stia organizzando in modo più appropriato con un Dipartimento, in ragione della riforma prevista dalla Legge Delega e dai contestati Decreti Attuativi. Se poi vogliamo essere più diretti e dirci tutto fuori dai denti, il vero problema non dovrebbe essere identificato nel numero dei mandati dei Presidenti, ma diversamente nella definizione delle aree di competenza. In poche parole, l’associazionismo sportivo, nella sua autonomia, dovrebbe risolvere la questione dei mandati, ovvero nell’ambito dei propri statuti e nel rispetto delle regole e convenzioni internazionali che lo riguardano. Quindi, lo Stato, con Governo, Coordinamento Interministeriale, Enti preposti, Dipartimenti, Regioni ed Enti Locali collegati al mondo dello sport per tutti e più complessivamente con i cittadini, dovrebbe svolgere senza mezzi termini la propria attività d’impatto, anche culturale. Qualche miliardo investito ogni anno in questa direzione potrebbe davvero rivoluzionare il nostro welfare e la nostra economia, fungendo da innesco, da moltiplicatore anche per opportunità professionali e di lavoro, a partire dai laureati in scienze motorie. Quello che appare oggi un “Uovo di Colombo” è in realtà frutto di un ragionamento sano, basato sulla onestà intellettuale che contraddistingueva personaggi dello sport e della politica, che avevano un simile orientamento già nella prima metà degli anni sessanta, giusto dopo la sferzata di consapevolezza , di una possibile sinergia vincente tra sport e sviluppo, derivata dallo straordinario esito dei Giochi Olimpici a Roma. Nel 1964, Giulio Onesti affermava: “ Gli atleti eccezionali non sono sempre il prodotto di una leva di massa, ma è più facile procurarsi i buoni atleti su una vasta selezione , che non su ridotti e sparuti gruppi di praticanti. Gli Enti di Propaganda meritano un finanziamento diretto da parte dello Stato. Tale finanziamento deve essere erogato dalla organizzazione più adatta e competente. Cioè dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Di siffatte provvidenze si avvantaggerebbe la gioventù del nostro Paese”. A tal proposito, Giacomo Brodolini, determinante per la rigenerante Legge Fifty – fifty, nel 1965 sosteneva: “Occorre operare in modo che alcune problematiche trovino soluzione e in particolare per determinare una società sempre più giusta e civile, a beneficio di qualsiasi categoria di cittadini. Problemi come quelli della disponibilità dei beni ex GIL, del verde attrezzato, di impianti sportivi attraverso i piani d’investimento delle aziende pubbliche, dello sport nella scuola, della tutela sanitaria delle attività e del rilancio dell’attività sportiva ricreativa a tutti i livelli, costituiscono priorità, scelte attuali da farsi nell’ambito del Piano di Programmazione Economica, per quel che concerne lo sport e il tempo libero.” Nel 1970, Onesti tornava a dire :” L’attività sportiva nel tempo libero rientra nella sfera del servizio sociale. Essa è compito dello Stato rispetto a un diritto dei cittadini ed un dovere della pubblica autorità”. Nel 1972, Antonio Ghirelli rinforzava il concetto: “ Ci siamo battuti per anni perché allo sport fosse riconosciuta la sua dignità di componente culturale della società; lo sport è qualcosa di più di un sistema, terapeutico. E’ anche uno strumento di formazione, di educazione civile e democratica. Lo sport è scuola di disciplina, di coraggio e di cooperazione”. Ghirelli in quella occasione anticipò in modo lucido molti argomenti ancora di assoluta attualità e su cui mi riprometto di tornare. Ricordiamoci , infine, che NIcola Signorello organizzò lo storico Congresso Nazionale dello Sport con il precipuo intento di dare una svolta radicale a quello che molti consideravano un modello unico al mondo, piuttosto che una anomalia. A successivi tentativi di Lelio Lagorio e Franco Carraro, della Ministra Margherita Boniver, si aggiunsero vari passaggi sino alla “riforma “ della Ministra Giovanna Melandri, nel 1999 e le novità del CONI Servizi, Società del MEF con finanziamento pubblico, nata nel 2002, aumentando l’ibridizzazione del CONI e la dipendenza economica vincolante di molte delle Federazioni Sportive. Meno per gli Enti di Promozione, divenuti una via di mezzo tra i vecchi Enti di Propaganda e quelli del Tempo Libero eredi dell’OND/ENAL, con una forte propensione all’autofinanziamento, tramite circoli licenziatari affiliati e tesseramento con convenzioni. Ma ormai, siamo però allo showdown formale e da settembre si dovrebbe giocare a carte scoperte, con l’applicazione della Legge Delega, la messa in opera dei progetti presentati da Federazioni, Enti di Promozione e Benemeriti a Sport e Salute, salvo ripensamenti, una ulteriore pausa COVID e turbamenti per gli esiti delle elezioni regionali.

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