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Editoriale

I complessi di colpa infondati dell’Occidente

Mentre la Repubblica Popolare Cinese miete successi diplomatici, riuscendo addirittura a far riavvicinare due nemici storici come l’Arabia Saudita sunnita e l’Iran sciita, in Italia – e anche in buona parte dell’Occidente – abbiamo una strana situazione.

Fioccano commenti anti-americani e anti-occidentali da parte di intellettuali e giornalisti che equiparano gli Stati Uniti alle odierne autocrazie, sostenendo che non dobbiamo affatto nutrire sentimenti di superiorità. Noi e loro in realtà siamo uguali. Anzi, loro sarebbero migliori poiché non si riparano dietro il velo di una democrazia formale.

Si tratta spesso di docenti universitari di chiara fama, che si autoproclamano liberali, e di intellettuali che scrivono su giornali e blog, naturalmente anch’essi liberali a tutto tondo.

Capita così di assistere a un vero e proprio stravolgimento della storia contemporanea. Furono per esempio gli Usa ad aggredire il Vietnam del Nord, sostenuto dalla Cina di Mao Zedong e dalla defunta Unione Sovietica. Ho Chi Minh era un pacifista, e i cattivi americani lo costrinsero a combattere una guerra per lui risultata vittoriosa.

Peccato che quello di Hanoi fosse un regime stalinista, che intendeva unificare con la forza un Paese in cui buona parte della popolazione del Sud non voleva vivere sotto un regime comunista, mentre quella del Nord vi era costretta con metodi coercitivi.

Ora il Vietnam è cambiato e vorrebbe intensificare i contatti con l’Occidente, anche per timore dell’espansionismo cinese. Ma resta il fatto che nordvietnamiti e vietcong non erano affatto gli angeli senza macchia e senza paura esaltati nei cortei studenteschi degli anni ’60 e ’70.

E non è finita. Capita anche di leggere che sono stati gli Usa e i loro alleati ad aggredire l’Irak di Saddam Hussein, dimenticando quanto il ras di Baghdad aveva fatto. E furono sempre gli americani ad aggredire l’Afghanistan, scordando Al Qaeda, Bin Laden, Torri gemelle di New York e quant’altro.

Naturalmente gli intellettuali e giornalisti di cui sopra sono pure convinti che Vladimir Putin abbia ragione a definire l’Ucraina un Paese inesistente. E che Xi Jinping sia nel giusto quando dichiara che Taiwan è parte integrante della Repubblica Popolare, rivendicando ai cinesi il diritto esclusivo di risolvere la questione, anche con le armi se necessario.

Una domanda, a questo punto, sorge spontanea. Tutti costoro sarebbero davvero disposti a vivere sotto regimi quali quelli di Mosca e d Pechino? Chi scrive nutre forti dubbi al riguardo. In fondo è molto appagante rivolgere critiche feroci agli Usa, ed essere al contempo liberi di andare in piazza un giorno sì e l’altro pure per i motivi più svariati.

Dovrebbero però rammentare, i critici dell’Occidente, che a Mosca, Pechino o Teheran tali manifestazioni non sarebbero mai tollerate, e verrebbero stroncate sul nascere.

Dove sta, allora, la presunta superiorità delle autocrazie? Probabilmente nel fatto che, non essendo sottoposte al controllo di un’opinione pubblica, mantengono l’ordine con molta più facilità di quanto accada da noi. Ma si tratta, per l’appunto, di un ordine “cimiteriale”, in cui una sola parola “sbagliata” può costare la vita o anni di prigionia nei gulag e nei laogai.

A mio avviso si tratta di una temperie davvero preoccupante. Appare sempre più chiara la strategia sino-russa volta alla creazione di un nuovo ordine mondiale dominato dalle autocrazie e dai loro alleati. E la debolezza occidentale è aumentata anche dalle incertezze dell’amministrazione Biden, e dalle profonde divisioni che lacerano il tessuto della società americana.

Se i regimi autocratici possono anche contare su attive quinte colonne che magnificano le loro gesta sui mass media occidentali, occorre preoccuparsi sul serio. Con questo voglio dire che, in assenza di un’inversione di tendenza, potremmo presto trovarci nella stessa situazione dell’Ucraina e di Taiwan, con buona pace di tutte le bandiere arcobaleno del mondo.

 

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Michele Marsonet

Filosofo, Professore di filosofia della scienza e metodologia delle scienze umane, Presidente del dipartimento di filosofia e vicerettore per le relazioni internazionali dell’Università di Genova

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