Di Ruggero Alcanterini
L’ITALIA CHE CI MERITIAMO – Non posso che affidarmi ad un gioco di parole, perché per vocazione e destino l’Italia che ci meritiamo è assolutamente quella del merito. Aggiungo che quel che capita, quel che ci ha permeato senza riparo anche in queste ore, forzatamente rintanati nelle case, virtualmente nelle aule con i parlamentari della agonizzante Terza Repubblica – in presenza del COVID, in carenza del vaccino, ma in esuberanza mediatica per la irreparabile crisi nodale del sistema, del rapporto fiduciario con la politica e le istituzioni – non può che porre un suggello sulla fase catartica di una esperienza tra le peggiori di quelle capitate nella nostra storia. Dunque, il coraggio di prendere atto della catastrofe, da decenni annunciata e inesorabilmente giunta alla sua manifestazione estrema, di affrontare a schiena dritta la necessità della riparazione e del riscatto, di far leva sulla onestà intellettuale e su quei sentimenti di lealtà, che evocava proprio William Shakespeare, quando accennava al fair play, come gioco corretto da contrapporre al foul play, come gioco scorretto o se preferite sporco. A fronte di quel che capita e che lascia pochi margini alla fantasia, occorre prendere atto che il Bel Paese paga il conto della sua sregolatezza, della sua sicumera e della sua genialità senza limiti e paragoni sul Pianeta, delizia ma anche croce del suo storico divenire. Volendo personificare il malessere come modo perverso di comportarsi, potremmo fare l’esempio di uno di noi, di Michelangelo Merisi da Caravaggio che, squarciando il suo onirico presente a colpi di spada e pennello, ne ricavò le luci e le tenebre del suo misterico passato futuro, quello che più o meno sembra spettare adesso a tutti noi. Per questo, l’unica via che mi sento di indicare e raccomandare è quella da evincersi dal merito, dai valori certi, facendo anche giustizia sommaria, seppure tardiva di millantatori e cantastorie, di pelosi speculatori e dilettanti allo sbaraglio. Non c’è più posto per furbi e furbetti, per le evoluzioni estreme del principio di sussistenza come fine , per i negazionisti dell’ottimismo della volontà, per i promotori di una società civile dal codice intellettivo piatto. Per questo, il principio platonico del merito dovrà essere ineludibile presidio ad indicare la via maestra della rinascenza.