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Catalogna chiama Italia

La questione catalana va di nuovo in piazza con gli “unionisti” e infiamma gli animi oltre la penisola iberica.

In qualche modo anche gli italiani fanno prove “tecniche di trasmissione”, simulando scenari futuribili, ma non ricordando adeguatamente il passato, quello che ci ha lasciato una regione a statuto speciale come la Sicilia e un “Mezzogiorno” generalmente depresso rispetto alle potenzialità geo-storiche-economiche, al posto di uno stato, quello “borbonico”, che governava il meridione d’Italia con Napoli capitale.

I fatti di centosessanta anni fa hanno spostato irrimediabilmente il baricentro della Penisola e fuso con una formula imperfetta le sue risorse.

La stessa difficoltà che s’incontra nel trovare una quadratura del cerchio per la nuova legge elettorale e se vogliamo gli stessi vezzeggiativi che si adoperano, come porcellum e rosatellum, danno una idea esemplificativa del livello di degrado cui è giunto l’interesse per la politica e quindi per l’amministrazione del Paese, da parte dei cittadini, sempre meno interessati a partecipare.

Il venir meno della passione, quella che trovava fondamento nei principi , nelle idee e nei leader dei partiti storici, quelli che in Italia non sono sopravvissuti alla sciagura di Tangentopoli, combinata con la rivoluzione universale per la rottura degli equilibri bipolari legati al Patto di Yalta, dopo quarantacinque anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, non è stato un danno da sottovalutare.

Se il sentimento di appartenenza degli italiani lo si dovesse misurare in base al rispetto del bene comune, dando uno sguardo al degrado imperante, dovremmo arrivare a conclusioni catastrofiche. Ecco perché ritengo che soltanto la “proporzionale pura” e le preferenze per i rappresentanti nelle Camere potrebbero restituire i poteri di delega agli elettori ed una sana passione per la politica ai cittadini.

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