6 MAGGIO 2017
– Di un “Eroe” come Carlo Fecia di Cossato, il marinaio “Baracca” della “Seconda Guerra”, ucciso moralmente da “fuoco amico” nel 1944, vi parlerò prossimamente, perché oggi il protagonista è Giorgio Bravin, un giovane atleta andato a morire da “bersagliere volontario”, come Enrico Toti nella “Prima Guerra”, sul Fronte Orientale nel 1943. Sorta di “Milite Ignoto” dello sport, Lui fu scelto da Carlo Alberto Guida e Roberto Vianello (allora Console e Pro-Console del CSN Fiamma) a simbolo di una nuova generazione di agonisti per l’atletica leggera italiana, in un clima enfatizzato da quell’alitare fresco di speranza, ch’era frutto dei XVII Giochi di Roma. Nel 1969, per quella manifestazione intitolata a Bravin, che il 4 di giugno allo Stadio dei Marmi traguarderà il mezzo secolo, erano operativi in campo un “buon maestro” come Luigi Meschini e ed un giovane attivissimo organizzatore come Sandro Giorgi. In pista, allo Stadio delle Aquile, oggi malridotto “Paolo Rosi”, saliva per la prima volta a Roma un Pietro Mennea, forte di risultati straordinari ottenuti su impianti improbabili e scarpe di gomma nella Città della Disfida, Barletta e dintorni, con l’Avis e l’AICS, di cui mi occupavo da sette anni, da quando Probo Zamagni – mai abbastanza ricordato – mi aveva convinto a farlo. Pietro, scoperto dal prof. Autorino, era accompagnato dall’allenatore Mascolo e dalle raccomandazioni di due medici amici e presidenti dell’Avis Barletta e dell’AICS Puglia, Ruggero Lattanzio ed Oberdan La Forgia, che lo consideravano quanto un figlio. Il vero assoluto obiettivo era farsi vedere, conoscere e riconoscere da colui che poteva decidere da subito sul suo destino, Carlo Vittori. Purtroppo a nulla valsero gli sforzi di tutti noi e la straordinaria galoppata di Pierino, (che ovviamente stracciò tutti su quei trecento metri che per lui sembravano davvero corti) perché il “caparbio” Vittori, forte della sua presunzione circa le scarse qualità fisiche del giovanissimo Mennea, si rifiutò di vederlo correre, andandosi a cacciare nel “casotto” dei Giudici, giusto un minuto prima della partenza. Dovetti andare io a stanarlo e ci fu anche un primo imbarazzante scontro verbale per la mia insistenza a sostegno di Pietro. Racconto questo per amore della verità e per rendere omaggio fino in fondo a Pietro Mennea, che sino ai Campionati Europei di Helsinki – nell’agosto del 1971 – fu lasciato assolutamente fuori dalla porta “azzurra”, quindi da ogni forma di assistenza tecnica, proprio da parte di Vittori e che dovette affrontare un percorso ancora più duro del necessario per arrivare ad affermare le proprie qualità. Alla fine vinse il carattere formidabile di Pietro, spinto da una voglia permanente di rivincita, alimentata anche da quanto gli capitò nel 1969 al “Bravin”, quando al trionfo non seguì la giusta benedizione…