Una storia senza nome
Quella che per Sciascia era una storia semplice è sicuramente divenuta una delle pagine più buie e terribili della nostra storia. Forse quella notte così lontana, in quel maledetto Oratorio di San Lorenzo tra le urla e i profumi della Kalsa palermitana, la storia in qualche modo si è persa per poi mai più ritrovarsi.
Roberto Andò mette in scena la storia di un quadro fantastico dalle tonalità suggestive di un verde prezioso, celato nei panni della vergine, la Natività con i Santi Lorenzo e Francesco d’Assisi dipinto da Caravaggio nel momento finale della sua vita, in fuga da sè stesso e da Roma. Un quadro che nel millenovecentosessantanove in una terribile notte sparì dal muro dove era posto per mai più riapparire, un quadro che Longhi poco prima di morire definiva come:”la meglio conservata tra quelle che il Caravaggio aveva prodotto in Sicilia”. La mafia ce ne privò per sempre.
Andò racconta il furto e l’ipotetico presente, ripredendo i fili ricongiunti tra racconti e fantasie a volte tanto reali da essere angoscianti verità. Fantasmi e doppigiochisti si alternano in vicende verosimili per una storia che inizia e finisce nel cinema e destinata al cinema stesso. Il film usa allora un racconto parallelo sullo stesso mondo del cinema che come la politica, muove dentro cornici cinematografiche assai più ampie. Tra gli intrecci politici e le verità del cinema, lo spettatore che è chiunque, cerca di trovare una verità a volte aiutato dai ragionamenti che la stessa indagine pone, altre volte più lasciato a sè. In un certo senso siamo un po’ tutti lo spettatore di Van Gogh in Dreams di Kurosawa che però invece di essere avvolto dai colori e circondato da suggestive bellezze, è qui distorto e attorniato di brutture e fatti reali, sconvolgenti e pietosi.
Ma come nella ricerca attuale del quadro, più ci si avvicina ad una verità, più si scoprono fatti che la alterano e l’allontanano da noi, ingigantendola e lasciandoci sempre più piccoli. Cosi ci viene raccontato come il quadro sia stato oggetto di uno scambio nella trattativa stato-mafia per l’alleggerimento del 41 bis, scambio che nella realtà e nel film non giunse a buon fine, ma che Brusca per primo raccontò.
Nel film si sente l’influenza di Sciascia, con cui probabilmente più volte un giovane Andò si trovò a parlare. E’ altresì inevitabile il ricordo all’ultimo film che interpreto’ un ormai anziano Volontè (tratto dal libro di Sciascia).
Quello che è certo è che il quadro passando di casa in casa di capimafia, fece perdere le sue tracce, finendo tagliato, venduto o iperbolicamente mangiato dai maiali in una stalla. Inevitabile è che quella vergine così bella che si angoscia per poi rinascere e che ha accanto a sè proprio la nascita di tutto, imperitura verità cristiana e metafora laica, è troppo lontana da noi.
Quanto è triste allora provare ad immaginare i profumi di fieno di quella stalla e il terribile silenzio di vecchiaia, di barbe bianche, mantelli verdi che non evocano solo un quadro, ma tutta la cornice di quella notte. Caravaggio così come pure mostra Andò, ci lascia spettatori immobili e silenziosi di fronte al dramma compiuto che allo spettatore pronto a infiniti colpi di scena risulta essere ancora qualcos’altro, così vicino ma così lontano (purtroppo) ai nostri occhi.