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Editoriale

Rivoluzioni scientifiche

Rivoluzioni scientifiche. Tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60 cominciarono ad acquistare peso negli ambienti epistemologici le tesi di alcuni autori che, seguendo il sentiero popperiano, si proponevano di rompere lo schema – da essi giudicato irrealistico e non fedele alla pratica scientifica – proposto dalla “visione ricevuta”. I più importanti tra essi sono Thomas S. Kuhn, Imre Lakatos e Paul K. Feyerabend. Il problema del cambiamento scientifico diventa nei loro scritti predominante, e ad essi va attribuito il merito di aver sottolineato in modo decisivo la dimensione storico-temporale della scienza. Questi autori si distaccano dalle tesi della “visione ricevuta” su parecchi punti qualificanti. In primo luogo, sviluppando la lezione popperiana secondo cui l’osservazione è sempre impregnata di teoria, essi negano l’esistenza di una radicale antitesi tra la dimensione teorica e quella osservativa. Viene quindi contestata la concezione cumulativa del passaggio da una teoria scientifica all’altra: i contenuti di una teoria non vengono interamente preservati quando essa viene sostituita da un’altra. È facile comprendere che, in questo modo, si nega che vi sia l’invarianza di significato degli enunciati osservativi nel processo di cambiamento teorico. Venendo ora ai contributi specifici di Thomas Kuhn, osserviamo innanzitutto che questo autore è stato uno dei primi a revocare in dubbio il carattere cumulativo e progressivo della conoscenza scientifica. A lui va attribuito il merito di aver sottolineato più di altri la dimensione storico-temporale della scienza e l’influenza che su di essa esercitano i mutamenti del contesto storico-sociale. Non è a suo avviso corretto affermare che le teorie scientifiche vengono superate a causa di un progressivo accumularsi di dati contrari. Si deve invece riconoscere che una teoria viene rimpiazzata da una teoria successiva perché quest’ultima è in grado di risolvere problemi che risultavano prima insolubili. L’astronomia copernicana, ad esempio, ebbe successo a causa dell’incapacità dell’astronomia tolemaica di risolvere i problemi e i “rompicapo” che si erano manifestati al suo interno. Crebbe quindi nella comunità scientifica la sensazione che occorreva superare lo schema concettuale tolemaico se si desiderava dare una soluzione a quei problemi, e il sistema copernicano emerse proprio come risposta a tale frustrazione. Le crisi che si manifestano nelle teorie scientifiche di successo acquistano quindi un peso decisivo nell’epistemologia kuhniana, in quanto segnano il passaggio da un periodo di scienza “normale”, in cui i presupposti di base di una certa teoria non vengono messi in dubbio, ad un periodo di scienza “straordinaria”, nel quale detti presupposti vengono sottoposti a critiche sempre più severe. Agli occhi di Kuhn, questo è l’unico modello in grado di farci realmente comprendere il fenomeno del cambiamento scientifico. Definendo “paradigma” una teoria o un insieme di teorie accettate in un particolare periodo storico, Kuhn concentra la propria attenzione sul cambiamento dei paradigmi, sulle difficoltà che si manifestano all’interno di un paradigma quando alcuni problemi si rivelano insolubili, e sulla cosiddetta “incommensurabilità” tra paradigma vecchio e nuovo nei periodi di scienza straordinaria. Nella concezione kuhniana i fattori storico-sociali giocano un ruolo essenziale per la comprensione del cambiamento scientifico. Egli non rifiuta soltanto ogni distinzione rigida tra osservazione e teoria, ma anche la celebre dicotomia tra “contesto della giustificazione” e “contesto della scoperta”. Mentre oggi queste intuizioni sono largamente accettate, occorre rammentare l’effetto rivoluzionario che esse produssero a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, quando la “visione ricevuta” era ancora largamente maggioritaria negli ambienti epistemologici. Seguiteci sulla nostra pagina Facebook
Michele Marsonet

Filosofo, Professore di filosofia della scienza e metodologia delle scienze umane, Presidente del dipartimento di filosofia e vicerettore per le relazioni internazionali dell’Università di Genova

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