Ho l’impressione che quanto avvenuto ieri tra Istanbul ed Ankara, più che di un serio tentativo di golpe, sia stato un sussulto, una reminiscenza del ruolo affidato dalla storia all’esercito, come garante della laicità dello Stato e quindi contro possibili islamizzazioni di ritorno. Invito tutti a trovare la chiave di lettura, la spiegazione per quanto sta avvenendo oggi nell’intera area geografica, che fu dell’Impero Ottomano e per il dilagante fenomeno del terrorismo in Europa e nel mondo, nella straordinaria e complessa figura del Generale Mustafae Kemal Ataturk – padre della moderna Turchia – e nella profonda trasformazione avvenuta con lui al governo dal 1920 e Presidente dal 1923 al 1938. L’occidentalizzazione avvenuta in modo robusto e traumatico nella prima metà del Novecento ha fatto dell’ex califfato, della Turchia, un Paese moderno, dove l’dea del primato religioso su quello secolare veniva ribaltato. Ataturk dette vita a una serie di riforme fondamentali dell’ordinamento della nazione sulla base di un’ideologia di chiaro stampo occidentale, quindi nazionalista e avversa al clero musulmano, che da lui prese il nome di kemalismo. Abolì il califfato nel 1922 e pose le organizzazioni religiose sotto il controllo statale, laicizzò lo Stato, riconobbe la parità dei sessi, istituì il suffragio universale, la domenica come giorno festivo, proibì l’uso del velo islamico alle donne nei locali pubblici (legge abolita solo negli anni 2000, dal governo dell’AKP), adottò l’alfabeto latino, il calendario gregoriano, il sistema metrico decimale e proibì l’uso del Fez e del turbante, troppo legati al passato regime, così come la barba per i funzionari pubblici e i baffi alla turca per i militari. Egli stesso prese a vestire in abiti occidentali, ma mantenne temporaneamente l’Islam come religione di Stato, per non turbare eccessivamente i turchi più religiosi. In ambito giuridico, abrogò ogni norma e pena che poteva ricollegarsi alla legge islamica, promulgò un nuovo codice civile, che aveva come modello il codice civile svizzero e un codice penale basato sul codice italiano dell’epoca, ma mantenne la pena di morte. Furono inoltre legalizzate le bevande alcoliche e fu depenalizzata l’omosessualità. Al fine di garantire la stabilità e la sicurezza dello Stato, istituì tuttavia un sistema autoritario, fondato sul partito unico, che sarebbe rimasto in vigore fino a dopo la sua morte. Inoltre, secondo la costituzione kemalista, a guardia della laicità contro i possibili tentativi dei movimenti islamici, venne posto l’esercito stesso, autorizzato a colpi di stato per difendere la secolarizzazione. Nonostante la Turchia fosse rimasta intrinsecamente conservatrice, soprattutto a livello popolare, le riforme di Mustafa Kemal la avvicinarono sensibilmente all’Europa. Si registrarono però fenomeni di repressione delle opposizioni e pesanti violenze contro i curdi. Infine, Ataturk così espresse la sua aperta disapprovazione verso l’Islam:
« Per quasi cinquecento anni, queste regole e teorie di un vecchio arabo e le interpretazioni di generazioni di religiosi pigri e buoni a nulla hanno deciso il diritto civile e penale della Turchia. Loro hanno deciso quale forma dovesse avere la Costituzione, i dettagli della vita di ciascun turco, cosa dovesse mangiare, l’ora della sveglia e del riposo, la forma dei suoi vestiti, la routine della moglie che ha partorito i suoi figli, cosa ha imparato a scuola, i suoi costumi, i suoi pensieri e anche le sue abitudini più intime. L’Islam, questa teologia di un arabo immorale, è una cosa morta. Forse poteva andare bene alle tribù del deserto, ma non è adatto a uno Stato moderno e progressista. La rivelazione di Dio! Non c’è alcun Dio! Ci sono solo le catene con cui preti e cattivi governanti inchiodano al suolo le persone. Un governante che abbisogna della religione è un debole. E nessun debole dovrebbe mai governare. »