Necessarie le dotazioni adeguate per il personale medico e paramedico. Così si proteggono anche i lavoratori esposti ad amianto, che sono a maggior rischio per il Coronavirus.
Il COVID-19 è la causa di morte di migliaia di esseri umani in Italia e nel resto del mondo. Le vittime dell’amianto stanno pagando a caro prezzo questa emergenza.
L’ONA ha lanciato l’allarme per la carenza dei dispositivi di protezione per il personale sanitario, ed ha sollecitato una revisione dell’uso delle maschere anche per i cittadini anche in vista della graduale ripresa che ci dovrà comunque essere a breve.
“Con questo virus dovremmo convivere. E’ quindi necessario aggredirlo piuttosto che essere il ‘gregge’ passivo, che qualche idiota aveva anche suggerito pure senza distanziamento sociale, salvo fare marcia indietro ed invocare le stesse misure italiane, abbandonando, quindi, la plomb anglosassone. Suggerisco, quindi, atteggiamenti meno pavidi (non condivido la forma mentis catastrofista e paranoica) e al tempo stesso assolutamente prudenti. Allo stesso modo il virus va aggredito. Necessarie le misure di protezione per i medici, e per il personale sanitario e per coloro che operano in prima linea, comprese le cassiere dei supermercati. Al tempo stesso, è vergognoso che ci siano 73 medici morti, e più di 10.000 del personale sanitario già contagiati. Una vera strage nella strage e un incubatore di epidemia. Necessario che i pazienti Covid siano assistiti in strutture dedicate. Necessaria maggiore attenzione per le case di riposo” è questo il grido di battaglia dell’Avv. Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, e componente della Commissione Amianto del Ministero dell’Ambiente.
Il Prof. Giuseppe Pellacani è una delle massime autorità del diritto del lavoro, ed ha sollevato un problema molto importante, in chiave preventiva. Sono più di 10.000 i sanitari contagiati. In molti casi c’è stato un ritardo nell’esecuzione dei tamponi. In questo modo, si è messa a rischio la salute anche degli stessi pazienti, creando dei veri e propri incubatori dell’epidemia. Se vogliamo vincere la battaglia contro il virus, è necessario proteggere il personale medico e paramedico, e tutti colori che operano nelle strutture sanitarie.
La petizione del Prof. Giuseppe Pellacani è sostenuta dall’ONA, per tutelare, prima di tutto in chiave preventiva, e poi in chiave risarcitoria, coloro che sono stati infettati e hanno subito danni anche a causa dell’assenza delle dovute misure di protezione. Si condividono le tesi sostenute dal Prof. Giuseppe Pellacani e si chiede che le vittime e i superstiti siano assistiti dalle necessarie garanzie economiche. Medici e altri operatori sanitari vittime del COVID-19 e i loro famigliari non debbono e non possono essere lasciati soli.
Come ho già anticipato, assistiamo ad un comportamento negligente ed imprudente di alcune autorità, che hanno privato il personale sanitario dei doverosi sistemi di protezione. Assistiamo ad una vera e propria strage, ed è per questo motivo che come Osservatorio Nazionale Amianto ed io stesso come professionista intendiamo spenderci perché si adottino tutte le necessarie misure per proteggere tutti i sanitari, e con loro anche i cittadini ed i pazienti.
Il numero dei medici deceduti per COVID-19 è quotidianamente aggiornato sul sito ufficiale della Fnomceo (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici), dove è riportato il bollettino dei sanitari deceduti in prima linea nella lotta contro il nuovo Coronavirus (COVID-19).
Migliaia di medici e operatori della sanità stanno mettendo a rischio la loro salute e la loro vita combattendo in prima linea nella battaglia contro l’attuale pandemia, provocata dal nuovo Coronavirus alias COVID-19.
Le condizioni di lavoro per i medici e gli operatori sanitari sono particolarmente difficili, e gli sforzi e i sacrifici richiesti al personale sanitario sono enormi, non solo a causa della quantità di ore di lavoro e dei turni massacranti necessari per far fronte all’emergenza. Purtroppo, l’attuale Governo, e in primis il Ministero della Salute, poco hanno fatto per assicurare la tutela della salute dei sanitari, e per di più hanno ritardato l’approvvigionamento dei dispositivi e, in molti casi, hanno lasciato sole le regioni.
Ritengo che anche in questo caso ci siano stati dei ritardi. C’è stata una sottovalutazione. Alcuni avevano suggerito di prendere l’aperitivo. Altri si sono recati nelle c.d. seconde case. Sarebbe stato doveroso dichiarare la Valseriana zona rossa e, quindi, chiuderla, ed impedire lo spostamento di decine di migliaia di cittadini dalla Lombardia al resto d’Italia. E poi ci sono stati i tagli alla sanità.
Questo non è il momento più opportuno per interrogarsi sugli effetti di 10 anni di tagli alla sanità pubblica, o di analizzare se e come si sarebbero dovute adottare misure per consentire fin dal primo momento di operare in sicurezza nelle strutture sanitarie e negli ambulatori, o quali procedure avrebbero potuto essere attivate per assicurare sin da subito il tempestivo approvvigionamento e la conseguente distribuzione dei dispositivi di protezione individuale.
Necessaria la tutela legale di coloro che in prima linea rischiano la vita ogni giorno, compresi i sanitari ed è per questo che l’ONA -Osservatorio Nazionale Amianto- sostiene l’iniziativa del Prof. Giuseppe Pellacani, perchè in favore di coloro che subiscono danni e dei superstiti, in caso di decesso, sia riconosciuto lo status di vittima del dovere ed erogate le dovute prestazioni previdenziali, oltre al risarcimento dei danni.
Ma quali sono le reali misure di protezione individuale necessarie ad evitare il contagio da COVID-19? Il nuovo Coronavirus è un agente biologico (un microrganismo in grado di riprodursi o trasferire materiale genetico, che potrebbe provocare infezioni, allergie o intossicazioni) che appartiene al Gruppo 4, come ho già più volte ribadito.
Gli agenti biologici sono comunemente ripartiti in 4 gruppi a seconda del rischio che comportano e in base al grado della loro:
Il nuovo Coronavirus appartiene al Gruppo 4, cui si connettono rischi elevati. C’è capacità del virus di propagarsi e di provocare gravi malattie all’uomo e di costituire un grave rischio per gli operatori; con un elevato rischio di propagazione nella comunità per cui non sono disponibili efficaci misure preventive o terapie. La mia preoccupazione è per le persone fragili, tra i quali gli anziani, gli immuno depressi, e tutti coloro che hanno contratto già patologie respiratorie, in particolare quelle asbesto correlate, tra le quali l’asbestosi, il mesotelioma della pleura.
I medici e tutto il personale sanitario e parasanitario, necessitano di esercitare il loro operato in massima sicurezza. Per fare ciò, occorre che siano dotati di adeguati dispositivi di protezione individuale in grado di evitare loro la trasmissione del virus visto il loro contatto ravvicinato con i positivi al virus.
In merito a questo argomento, utile è il contributo del Dott. Pasquale Montilla, il quale ha definito il virus SARS Covid-2019, altamente contagioso e lesivo. Sono quindi necessarie misure di prevenzione, con linee guida di biocontenimento, tarate tenendo conto della sua trasmissibilità per via aerea, di classe 4 e di alto impatto.
Il virus essendo caratterizzato da una forte letalità e da un carattere neuro-tossico e con polmonite interstiziale, necessita di dispositivi idonei per limitarne la diffusione.
Nello specifico, i dispositivi di protezione si possono distinguere in due livelli: il primo di biocontenimento del soggetto in isolamento, che deve essere però posto in essere in delle unità speciali. Il secondo livello è caratterizzato dalla presenza di strumentazione specifica, quale tute o caschi e maschera frontale.
Infatti, al personale medico/sanitario, deve essere garantita non solo la mera mascherina con grado FFP2/P3, ma ben altri ausili, ovvero l’integrazione con tute sterili, caschi e maschere che permettono la reale ed effettiva intrasmissibilità del virus, dispositivi che purtroppo il nostro Stato, a tutt’oggi, non ha messo a disposizione di tutto lo staff medico e paramedico operativo sul territorio nazionale.
I civili, o meglio, i comuni cittadini, avrebbero bisogno della dotazione delle mascherine, la quale dovrebbe essere garantita con la distribuzione gratuita su tutto il territorio nazionale. L’utilizzo della mascherina, serve essenzialmente ad evitare la trasmissione del virus tra un soggetto positivo e altri soggetti sani. L’alto rischio di trasmissione sussiste in merito ai c.d. asintomatici, cioè, coloro che sono portatori sani del virus senza alcun sintomo, e il fatto che questi siano dotati di mascherine, potrà aiutare il contenimento della pandemia. Oltre all’utilizzo della mascherina, importante è anche il rispetto delle misure restrittive messe in atto dal Governo, in modo particolare il distanziamento sociale, idoneo all’evitare la diffusione del contagio.
L’infettivologo David Heymann, presidente del gruppo di consulenti dell’OMS che valuterà se per rallentare la diffusione del virus è necessario che un maggior numero di persone indossino le mascherine, ha dichiarato che “l’OMS sta riaprendo la discussione esaminando le nuove prove per vedere se dovrebbe esserci un cambiamento nel modo in cui si consiglia l’uso delle mascherine”. Il ripensamento è dovuto al fatto che le goccioline emesse con un colpo di tosse, o uno starnuto, possono raggiungere rispettivamente fino a 6 e 8 metri di distanza. Poi c’è il rischio che il virus possa viaggiare nell’aria anche senza colpi di tosse o starnuti, con il semplice respiro. Uno studio del 2014 di un gruppo di ricercatori di fluidodinamica del MIT, guidato da Lydia Bourouib, ci aiuta a capire in che modo la mascherina possa aiutare a limitare la diffusione aerea del virus.
Un colpo di tosse media è in grado di diffondere fino a 3.000 goccioline che possono muoversi fino a 75 km all’ora. Lo starnuto, invece, genera fino a 40.000 goccioline, che possono raggiungere una velocità di 320 km all’ora.
La distanza percorsa dalle goccioline dipende dalle loro dimensioni (quelle inferiori a 5 micron di diametro possono rimanere sospese nell’aria anche per 10 minuti). In ogni caso, non cadono a terra entro 1-2 metri, ma possono viaggiare fino a 8 metri se emesse da uno starnuto, e fino a 6 metri con la tosse. Per questo motivo ritengo che si dovrà ripensare la lotta contro il virus, con una strategia che non sia solo di contenimento passivo, ma che preveda più tamponi e più maschere adeguate.
L’iniziativa del Presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici, Filippo Anelli, di sospendere immediatamente la distribuzione e l’utilizzo di quanto ricevuto, informando eventuali medici o strutture che ne fossero già in possesso, è stata sensata in quanto ciò che è stato messo a disposizione dei sanitari non era assolutamente idoneo alla tutela della loro salute.
Il COVID-19 continua ad essere sottovalutato, ed è carente ed intempestiva la distribuzione dei dispositivi di protezione individuale, con difficoltà di raccordo tra livello nazionale e regioni.
Ritengo che a tutto lo staff medico debbano essere riconosciuti gli stessi diritti che la legislazione Italiana riconosce da anni alle c.d. vittime del dovere. È necessario un segnale forte e concreto rivolto ai medici e al personale medico, vittima del Coronavirus nel servizio di assistenza ai pazienti contagiati.
Coloro che sono stati infettati dal COVID-19 (all’interno del personale sanitario così come pure tra le Forze dell’Ordine, ecc…) hanno diritto ad essere riconosciuti come equiparati alle vittime del dovere, ai sensi dell’art. 1 co. 564 della L. 266/05, e sulla base dell’art. 1 lett. c del D.P.R. 243/06.
Il personale medico e paramedico, e tutti gli operatori della sanità, chiamati a fronteggiare l’emergenza Coronavirus, privi di adeguati strumenti di protezione, e con una sottovalutazione del rischio, hanno dovuto operare in particolari condizioni ambientali ed operative eccedenti l’ordinarietà, che con diritto alla tutela, riconosciuta alla vittime del dovere, in relazione ai danni subiti e in caso di decesso, tale diritto deve essere riconosciuto anche ai familiari, e si aggiunge a tutte le altre prestazioni, e al diritto al risarcimento dei danni, sia sofferti direttamente, che subiti dai loro congiunti.
Appena ho avuto notizia della petizione lanciata dal Prof. Giuseppe Pellacani, ne sono stato uno dei primi sostenitori. Il Prof. Giuseppe Pellacani ha lanciato una petizione per codificare, dal punto di vista legislativo, il diritto dei sanitari e dei loro congiunti, familiari e superstiti, gli stessi benefici economici, normativi, previdenziali e fiscali, riconnessi al riconoscimento dello status di vittima del dovere, con le stesse prestazioni riconosciute alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, sulla base di quanto già sancito dalla L. 03.08.2004 n. 206.
L’ONA, e tutti coloro che sono onesti intellettualmente non possono negare il diritto di queste vittime ad ottenere il riconoscimento dello status di vittima del dovere. Dobbiamo sostenere l’iniziativa del Prof. Giuseppe Pellacani, in questo impegno professionale, scientifico e giuridico di sostegno dei medici, e del personale paramedico, e di tutti coloro che si stanno battendo in prima linea per la battaglia contro il COVID-19.
Invito tutti a sostenere la petizione per richiedere di estendere a queste vittime del dovere e ai famigliari di medici e sanitari vittime del COVID-19, gli stessi benefici economici, previdenziali e fiscali che lo Stato da tempo prevede a favore delle vittime per fatti di terrorismo e di criminalità organizzata (legge 3 agosto 2004 n. 206 e successive modificazioni).
I diritti riconosciuti alle vittime del dovere e che potrebbero essere estesi al personale medico e sanitario, sono i seguenti:
Sulla base dell’insegnamento delle SS.UU. 7761/17, 22753/18 ed ex multis, sono dovute altresì agli odierni ricorrenti le seguenti ulteriori prestazioni:
Il personale medico e paramedico, e tutti coloro che in prima linea si stanno battendo per sconfiggere il covid-19 e che perciò stesso hanno subito infermità, hanno diritto al riconoscimento dello status di vittima del dovere, e perciò stesso all’accredito di tutte le prestazioni con gli stessi importi delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.
L‘art. 1 comma 563, L. 266/05, stabilisce espressamente: “Per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui all’art. 3 della legge 13 agosto 1980, n. 466, e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un’invalidità permanente in attività di servizio o nell’espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi:
Le prestazioni di vittima del dovere debbono essere riconosciute in relazione alle infermità occasionate dalla prestazione di quelle particolari attività di dovere indicate nel testo normativo, a prescindere dalla sussistenza o meno di un rapporto di lavoro subordinato, come è stato peraltro ribadito nel capitolo 20 della SS.UU. 22753/2018.
Infatti le SS.UU., con sentenza n. 22753/2018, richiamano il precedente, e testualmente:
«20. Va, invece, ricordato che questa Corte (cfr. SU n. 233000/2016) ha riconosciuto la natura assistenziale dei benefici a favore delle vittime del dovere consistente in un sostegno che lo Stato offre a chi abbia subito un’infermità o la perdita di una persona cara a causa della prestazione di un servizio in favore di amministrazioni pubbliche da cui siano derivati particolari rischi. La richiamata pronuncia precisa ulteriormente che “tale diritto non rientra nello spettro di diritti e doveri che integrano il rapporto di lavoro subordinato dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche. Si tratta infatti di un diritto che si colloca fuori e va al di là di tale rapporto, contrattualizzato o meno che esso sia, potendo riguardare anche soggetti che con l’amministrazione non abbiano un rapporto di lavoro subordinato ma abbiano in qualsiasi modo svolto un servizio”..».
In caso di infezione e di residuata infermità, la vittima ha diritto all’integrale risarcimento di tutti i danni, da quello biologico a quello morale, a quello esistenziale, e in caso di decesso anche a quello tanatologico e catastrofale.
Si aggiunge anche il diritto al risarcimento del pregiudizio patrimoniale, per danno emergente e lucro cessante. In caso di decesso, che avrebbe conseguenze catastrofiche anche per i familiari (si pensi ai casi di orfani in giovane età, privati anche del sostegno economico, e scaraventati in uno stato di totale povertà anche per effetto delle riforme pensionistiche volute dalla Prof.ssa Fornero) i familiari hanno diritto all’integrale ristoro di tutti i pregiudizi:
Il fatto stesso che i sanitari debbono separarsi dai familiari per evitare il rischio di un loro contagio, e di più, in caso di decesso, hanno provocato, stanno provocando e provocheranno, gravi pregiudizi anche ai familiari, e a tutti coloro che hanno un significativo rapporto con loro. Anche in questo caso sussiste il diritto al risarcimento di tutti i danni:
Danno iure proprio degli stretti congiunti
Pregiudizi non patrimoniali:
Pregiudizio patrimoniale:
Tutti coloro che sono vittime amianto, e i loro familiari, possono chiedere al fine di ottenere la tutela dei loro diritti. È sufficiente consultare la sezione ONA dedicata ai servizi gratuiti, oppure contattare l’associazione attraverso il numero verde gratuito 800034294.
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