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Editoriale

Non c’è pace per la memoria di Mikhail Gorbaciov

Com’era ampiamente prevedibile, la morte di Mikhail Gorbaciov ha causato reazioni opposte in patria e in Occidente. La stragrande maggioranza dei russi non lo ha mai amato, accusandolo di aver svenduto l’eredità dell’URSS, e di essersi piegato ai voleri di Ronald Reagan e delle potenze occidentali in genere. Naturalmente, questo implica un giudizio positivo sull’era sovietica, trascurando il fatto che la defunta Unione era un colosso militare ma, al contempo, un nano economico. La fine della Guerra Fredda è anche dovuta al fatto che i sovietici non riuscivano più a proseguire la corsa agli armamenti con gli USA.

Da noi, invece, si sono avute reazioni opposte. A parte pochi nostalgici, i commentatori esaltano il coraggio di Gorbaciov nel denunciare i difetti di un sistema che non reggeva più dal punto di vista meramente economico. Al massimo viene criticata la sua “timidezza” nel perseguire le riforme. Scordando però che egli era pur sempre un membro del PCUS e un uomo dell’apparato.

Anche la freddezza dei vertici russi era prevista. Soprattutto quella di Vladimir Putin che lo ha sempre criticato con veemenza. Non si sa ancora, infatti, se il leader del Cremlino parteciperà di persona ai funerali ufficiali del suo predecessore.

Ciò che più interessa, tuttavia, è notare l’atteggiamento di Xi Jinping e della Cina. I vertici della Repubblica Popolare hanno solo inviato condoglianze di circostanza, ed è facilmente spiegabile. Deng Xiaoping, il leader che negli anni ’70 del secolo scorso avviò l’ammodernamento della Cina con il celebre slogan “arricchitevi!”, mantenne tuttavia intatto ruolo e potere del Partito comunista, strategia che i suoi successori hanno puntualmente proseguito.

La verità è che Gorbaciov non voleva alcun spargimento di sangue, e criticò con asprezza il massacro di Piazza Tienanmen. Proprio qui sta la differenza. I cinesi erano – e sono tuttora – disposti a tutto pur di mantenere il Partito (che si identifica con lo Stato) al potere. Per Gorbaciov, invece, l’uso della forza non avrebbe condotto ad alcun buon risultato, dimostrando quindi di essere assai più democratico del Partito che pur dirigeva.

Proprio per questo Deng Xiaoping pensava che Gorbaciov fosse “un idiota”, colpevole di aver affossato il più grande esperimento collettivistico della storia. E non è difficile immaginare che anche Vladimir Putin la pensi più o meno allo stesso modo. Nessuna pace per la memoria di “Gorby”, quindi. Anche in futuro sarà esaltato da alcuni e vituperato da altri.

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Michele Marsonet

Filosofo, Professore di filosofia della scienza e metodologia delle scienze umane, Presidente del dipartimento di filosofia e vicerettore per le relazioni internazionali dell’Università di Genova

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