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Editoriale

Ministri tecnici

Ministri tecnici: il termine “tecnocrazia” è ambiguo. Da un lato, preso letteralmente, significa potere attribuito a chiunque possieda delle competenze tecniche precise. Quindi non solo ingegneri e scienziati, come la composizione della parola sembra indicare a prima vista, ma anche economisti, giuristi, esperti di scienze sociali etc. Dall’altro le sue origini risalgono agli albori del pensiero occidentale. Elementi tecnocratici si possono già cogliere in Platone, per quanto diverso fosse il contesto storico e culturale in cui si sviluppò la sua visione del mondo, e soprattutto nella Nuova Atlantide di Francesco Bacone. In questo caso siamo più vicini alla sensibilità contemporanea, poiché nella sua opera la società diventa – grazie alla nuova scienza – il luogo dove sperimentare le possibilità infinite del dominio umano sulla natura.

Non è mai stato chiaro, tuttavia, di quale potere siano effettivamente detentori i tecnocrati. C’è chi pensa che, proprio sulla base delle loro competenze, essi debbano solo “consigliare” il potere politico, destinati a fornire indicazioni ai politici di professione che non hanno il tempo di appropriarsi in modo completo di ogni argomento. Un’altra scuola di pensiero vede invece nella tecnocrazia il metodo più semplice per spogliare il potere delle sue caratteristiche politiche, prefigurando un dominio degli “esperti” svincolato dall’investitura popolare.

La formazione di un nuovo governo con la possibile presenza di “tecnici” al suo interno ha offerto subito lo spunto per rinnovare un dibattito che, come ho detto prima, è antichissimo. Di Mario Monti si disse che coltivasse sogni di “salazarismo in salsa bocconiana”, ma era una fake news. In realtà è l’estrema debolezza degli attori politici tradizionali in questo particolare momento storico a rafforzare la tecnocrazia. Inutile strillare per la crescita dell’antipolitica quando essa è dovuta ai soggetti che finora l’hanno gestita. Il cosiddetto “deficit di democrazia” nasce dall’incapacità dei partiti di autorinnovarsi. E’ questo l’elemento dirompente, che consente ai tecnici di non farsi prendere dal panico per le critiche che piovono loro addosso.

Vorrei far osservare che, nonostante le bordate di parecchi organi d’informazione, i maggiori leader politici sembrano consapevoli di questo dato di fatto. Il destino dei tecnici dipende, oltre che dalla situazione economica, da fattori squisitamente interni come la capacità di rinnovare il rapporto di fiducia tra gli elettori e i loro rappresentanti.

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Michele Marsonet

Filosofo, Professore di filosofia della scienza e metodologia delle scienze umane, Presidente del dipartimento di filosofia e vicerettore per le relazioni internazionali dell’Università di Genova

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