L’economia cinese. Esiste un legame tra l’ondata di nazionalismo scatenata nella Repubblica Popolare dal governo di Pechino dopo la visita di Nancy Pelosi a Taiwan, e i seri problemi economici che il colosso asiatico si trova ad affrontare dopo un lungo periodo di crescita ininterrotta? Molti analisti internazionali ne sono convinti.
La crisi immobiliare, esemplificata soprattutto dalle irrisolte difficoltà finanziarie del gigante del settore “Evergrande”, sta causando a sua volta gravi problemi al comparto dell’acciaio cinese, dove si calcola che addirittura un’azienda su tre sia a rischio di bancarotta. La domanda è da tempo in flessione e il governo non sembra disposto ad intervenire come ha fatto in passato, con il rischio di un periodo buio di lunga durata. Il settore siderurgico e quello immobiliare, insomma, sono preda di una crisi senza precedenti, e non è ancora chiaro come le autorità intendano affrontare, e tentare di risolvere, la situazione.
D’altra parte si evince dai comunicati ufficiali che Xi Jinping e il gruppo dirigente che lo affianca non sono disposti a compiere altri interventi di spesa pubblica per sostenere le infrastrutture. Nel 2015-16 il governo autorizzò nuovi stimoli finanziari per rilanciare il settore dopo la grande crisi finanziaria e la flessione del mercato immobiliare che allora si verificò. Sarà quindi un periodo duro per le acciaierie, da sempre considerate esempio dell’espansione economica di Pechino.
In altri termini l’economia cinese, che secondo i calcoli avrebbe dovuto crescere per almeno un altro decennio, sta invece subendo un pesante rallentamento. Una delle cause è indubbiamente la pandemia e la politica del “Covid zero” adottata dalle autorità. Lockdown totali continuano ad essere proclamati in varie città, a fronte di un basso numero di contagiati e, spesso, anche in presenza di soli asintomatici. Tale politica, su cui il governo continua a insistere, ha prodotto danni ingenti in tutti i settori economici, riverberandosi poi anche sulle filiere di approvvigionamento che coinvolgono il mondo intero.
Né le cose migliorano se prendiamo in considerazione il Pil. Quest’anno non verrà raggiunto l’obiettivo prefissato del 5,5%. Si dubita, insomma, che sia possibile tornare alla situazione pre-Covid.
Nonostante la rigida censura e il controllo pervasivo dei mass media, da Pechino filtrano notizie secondo cui la posizione di Xi Jinping all’interno del Partito sarebbe meno solida di quanto appare. Dopo aver inserito il proprio “pensiero” nella Costituzione (come fece Mao Zedong), il leader si appresta ad ottenere un inedito terzo mandato al XX congresso del PCC che si terrà in autunno.
La situazione economica del Paese, a causa dei già citati continui lockdown e della politica del “Covid zero”, si è rapidamente deteriorata. Ma si annuncia comunque l’arrivo di una crisi economica peggiore dell’ultima, che risale a due anni orsono. Previsto inoltre un aumento della disoccupazione, soprattutto nelle face giovanili della popolazione.
Ciò che più interessa, tuttavia, è notare che, se si verificasse una crisi di liquidità, a farne le spese sarebbero anche le forniture di componenti e semilavorati alle industrie occidentali. In Italia e in Europa, per esempio, interi comparti come quello dell’auto rischierebbero il blocco.
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