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Attualità

Lazio: 40 per cento di miele in meno, ma le api romane tengono testa alla concorrenza cinese

Anche quest’anno, come nei tre precedenti, dagli alveari del Lazio si estrarrà il 40 per cento di miele in meno rispetto a una annata normale. Effetto dei cambiamenti climatici ma, le api romane si confermano le più resistenti ai mutamenti e tengono testa alla concorrenza del miele importato dalla Cina e venduto a prezzi stracciati. Nelle aziende della provincia di Roma la produzione di miele quest’anno porterà soddisfazioni anche grazie ad un microclima ottimale e alla semina di fiori unicamente destinati all’apicoltura.

Francesco Maria Tolomei, presidente dell’associazione regionale apicoltori professionisti e semiprofessionisti del Lazio, interpellato da “Agenzia Nova”, spiega: “La produzione media annuale di un alveare in una stagione normale si attesta sui 25 chili di miele. Quest’anno pensiamo si attesterà sui 13 o forse 14 chili”. La colpa del calo della produzione non è delle api, diventate improvvisamente sfaticate, quanto della scarsa quantità di nettare. A incidere sull’impatto negativo ci sono più fattori di stress ambientale. Gennaro Di Prisco, ricercatore del Cnr, impegnato nello studio delle interazioni tra piante e impollinatori, chiarisce: “Ci aspettavamo quest’anno un maggio siccitoso come lo scorso anno, invece è stato piovoso. L’imprevedibilità delle condizioni meteo stagionali rende la programmazione delle produzioni apistiche un’ardua scommessa”.

Tuttavia gli effetti diversi del clima su zone anche non molto distanti tra loro stanno creando isole felici per l’apicoltura: è il caso della campagna romana. L’apicoltura Fiorentini di Fiumicino è una piccola attività che conta circa 26 milioni di “dipendenti” di cui soltanto tre sono esseri umani: il restante, a cui spetta il lavoro grosso, sono api divise in 400 arnie disseminate nei prati di Fiumicino, Tarquinia e Civitavecchia. “Per alcuni anni l’anticiclone africano ha causato lunghi periodo di siccità”, racconta Paolo Rinelli, apicoltore da 55 anni che, insieme al fratello Stefano e al nipote Alfredo porta avanti l’azienda condividendo la passione e le punture. Quando il caldo o il freddo in primavera, rende la quantità di nettare insufficiente “per sostenere le api – dice l’apicoltore – siamo costretti ad intervenire con un apposito nutrimento evitando che muoiano: un po’ come quando si riconosce la cassa integrazione ai dipendenti in periodo di crisi”.

Quest’anno, però, l’annata nelle campagne di Roma sembra essere salva. “È una stagione eccezionale come non se ne vedevano da molti anni sul litorale”, prosegue Paolo mostrando un telaino grondante di miele e indicando un prato fiorito e colorato. E il segreto del successo potrebbe essere la coltivazione del prato. “Ho affittato un grosso appezzamento di terra e seminato grano saraceno, girasole e altri tipi di colture al solo scopo di fornire fiori e nettare alle api”, aggiunge. In questo modo, grazie a una maggiore produzione, le api romane tengono testa sul mercato nazionale stritolato dalla concorrenza del miele straniero, di qualità inferiore, e venduto a prezzi stracciati.

“Quello cinese, ad esempio, costa all’ingrosso meno di due euro al chilo mentre quello italiano costa 6 euro al chilo”, dice il presidente Tolomei. “In Italia puntiamo sulla qualità e abbiamo una normativa molto stringente”. Il rispetto delle norme garantisce la qualità ma eleva i costi di produzione. Il sistema della semina di piante nettarifere e pollinifere può aiutare a incrementare in parte la produzione di miele. “Piantare essenze vegetali apistiche è uno dei temi presi in considerazione della prossima Politica Agricola Comunitaria iniziata quest’anno che prevede degli eco-schemi studiati appositamente per supportare la vita degli impollinatori con incentivi per gli agricoltori”, conclude il ricercatore Di Prisco.

redazione

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