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Editoriale

La guerra santa ortodossa

Il patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill, non contento di aver appoggiato l’invasione dell’Ucraina, ora lancia addirittura alla “guerra santa”. Più che un patriarca cristiano ortodosso, sembra un uno degli ayatollah islamici che lanciano spesso appelli simili.

Noncurante dei consigli di Papa Francesco, che lo ha più volte invitato a rammentare che i capi delle chiese cristiane devono essere uomini di pace che cercano il dialogo con tutti, Kirill ha invece alzato ancor più i toni bellicisti.

Alle giovani e meno giovani reclute russe che tutto farebbero pur di non essere coinvolte in un conflitto di cui non comprendono il significato, il patriarca dice che, se moriranno in guerra, vedranno Dio. Proprio come fanno i religiosi islamici più fanatici.

Il fatto è che Kirill ha legato in modo inestricabile la sua sorte a quella di Vladimir Putin, del quale è diventato, usando le parole di Papa Francesco, una sorta di “chierichetto fedele”.

Eppure gli ucraini, che egli incita a combattere, appartengono alla sua stessa Chiesa, quella ortodossa, anche se il patriarcato di Kiev ha preferito separarsi da quello di Mosca per ovvi motivi.

Per Kirill gli ucraini rappresentano il male perché si sono occidentalizzati, e a suo avviso l’Occidente è sinonimo di corruzione e decadenza. Si appella inoltre alla purezza della tradizione ortodossa ma, ammesso che esista, non si vede come tale purezza possa essere difesa con una guerra di sterminio.

Alle reclute ha detto: “Andate coraggiosamente ad adempiere al vostro dovere militare. Ricordate che, se morirete per il vostro Paese, sarete con Dio nel suo regno, nella gloria e nella vita eterna”.

Intendiamoci, anche da noi in passato i pontefici della Chiesa cattolica hanno spesso benedetto le guerre: basti pensare alle crociate. Oggi, tuttavia, le parole del patriarca di Mosca ci appaiono blasfeme, invocando Dio per giustificare una guerra di aggressione, per di più contro un popolo che è affine a quello russo.

Kirill ha pure un nonno che fu prigioniero del gulag staliniano, ma sembra aver dimenticato che non si possono infliggere sofferenze ai nostri simili in nome di Dio e della religione, qualunque essa sia.

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Michele Marsonet

Filosofo, Professore di filosofia della scienza e metodologia delle scienze umane, Presidente del dipartimento di filosofia e vicerettore per le relazioni internazionali dell’Università di Genova

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