20 settembre 2020 – Siamo a centocinquant’anni da quella svolta “popolarmilitare” che fece dello Stato Pontificio il Vaticano e dell’Italia un Regno. Il 20 settembre del 1870, l’inviato di guerra Edmondo De Amicis era ancora a Monterotondo con i colleghi e si apprestava a partire per Roma, all’alba del giorno successivo, oggi come domani, per assistere al programmato assalto alla Città già dei Cesari e dei Papi, in quattro diversi punti, tra Porta San Lorenzo e Porta Salara, Porta San Giovanni con la divisione Angioletti, Porta San Pancrazio con la divisione Bixio e a Porta Pia, con la 12° Divisione del 4° Corpo agli ordini del generale Mazè de la Roche. All’indomani si sarebbero imbattuti, tra colpi di moschetto, cannone e nuvolaglie di polvere, nell’Evento che ci avrebbe precipitato nei capitoli successivi di una storia già scritta, ripetitiva, che ci avrebbe condotto sino ai nostri giorni, appunto oggi domenica 20 e domani 21 settembre dell’anno disgraziato 2020, in cui si è scelto di fare altra breccia nel muro disconnesso del Sistema, divenuto repubblicano settantaquattro anni fa, con l’altro travagliato Referendum del 2 giugno 1946. Senza per nulla cambiare atteggiamento, Covid o non Covid, adesso i liberatori arriveranno di nuovo a Roma, tra seggi sguarniti di elettori e scrutatori, decimati dallo scetticismo e dal timore virale, tra stadi vuoti quanto le casse dell’INPS risucchiate dai Bonus, mentre sul Ponte Italico, dal Polcevera allo Stretto, sventola bandiera bianca. In queste condizioni di sostanziale confusione è complicato, ma caratteriale, dare un SI o un NO – piuttosto che un BOH! – nelle urne, insieme al consenso necessario per l’elezione di sette Consigli Regionali, millecentosettantasei Comunali e due Senatori, mentre l’immagine della Magistratura finisce in una “porta via”, quella da cui ieri è uscito, giacca sulla spalla, l’ex presidente dell’ANM, Luca Palamara. Dunque, la nostra storia passa sempre da quella “breccia” – mai risanata da un secolo e mezzo – sul finire della Via Nomentana, da cui entravano trombettando bersaglieri e da cui uscivano deferenti diplomatici, oltre la quale il popolo acclamava i liberatori, facendo le prove per l’ingresso dei fascisti marcianti il 28 ottobre del 1922, come dei liberatori americani il 4 giugno del 1944, piuttosto che per la vittoria della Raggi a Cinque Stelle, il 22 giugno del 2016, sempre senza colpo ferire e con il sessantasette per cento dei voti.
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“La Porta Pia era tutta sfracellata… le statue a destra e sinistra non avevano più testa, il suolo intorno era sparso di mucchi di terra, di materassi fumanti, di berretti di zuavi, d’armi, di travi, di sassi. Per la breccia vicina entravano rapidamente i nostri reggimenti… Entrammo in città… il popolo romano ci correva incontro. Giungiamo in piazza del Quirinale. …Le case si coprono di bandiere. Il popolo si getta fra i soldati gridando e plaudendo. Passano drappelli di cittadini colle armi tolte agli zuavi. Giungono i prigionieri pontifici. I sei battaglioni bersaglieri della riserva, preceduti dalla folla, si dirigono in piazza Colonna. Da tutte le finestre sporgono bandiere, s’agitano fazzoletti bianchi, s’odono grida ed applausi. Il popolo accompagna col canto la musica delle fanfare. Sui terrazzini si vedono gli stemmi di Casa Savoia. … La moltitudine si versa nella piazza da tutte le parti, centinaia di bandiere sventolano, l’entusiasmo è al colmo. I soldati sono commossi sino a piangerne. Non vedo altro, non reggo alla piena di tanta gioia, mi spingo fuori della folla, incontro operai, donne del popolo, vecchi, ragazzi. Tutti hanno la coccarda tricolore, tutti accorrono gridando: “I nostri soldati, i nostri fratelli!” … E’ il grido della libertà di Roma che sprigiona da centomila petti; è il primo giorno di una nuova vita; è sublime.” (EDMONDO DE AMICIS – ROMA 21 SETTEMBRE 1970)