#iostoconKETTYCARRAFFA. Una donna bella, intelligente, preparata. Soprattutto preparata. Ecco uno degli hashtag che sta spopolando nei social negli ultimi giorni.
Dirigente sindacale della CGIL di Milano e una vita spesa a difendere le donne ed i diritti dei deboli. Ne sta parlando tutta Italia: single con un figlio piccolo a carico, licenziata senza preavviso e con una brutta storia di mobbing e demansionamento che si aggiunge a farne un caso nazionale di cui si parlerà a lungo. Proprio lei: la pasionaria della CGIL di Milano.
– La prima cosa che mi viene da dire è: menomale che non hanno scritto la parola “compagna” sulla lettera di licenziamento, ma si sono limitati a scrivere “Gentile Signora” – esordisce cosi’ la bionda Ketty in una intervista telefonica.
Ketty Carraffa, sindacalista, Segretario politico della categoria Nidil (Precari) della CGIL a Milano, dal 2006 fino al 2014, poi “comandata” arbitrariamente dal Segretario generale del tempo a fare l’Operatore al terminale, a fare le pratiche per la disoccupazione, per il patronato Inca (Servizi di sostegno al reddito) e, nel dicembre 2016, trasferita ulteriormente in un appartamento, in cui vengono dati in affitto gli uffici ai coworkers, con attività di receptionist: questo è il quadro in cui si delinea la vicenda, che è brutta da ascoltare ma soprattutto da raccontare, perchè Ketty è emotivamente provata mentre mi parla di un terribile percorso di mobbing e demansionamento, durato ben 4 anni, con l’ultimo passato (e documentato) in malattia per ansia e stress occupazionale, cominciato nel gennaio 2017 e terminato con il ricevimento della lettera di licenziamento, nei giorni scorsi, per superamento del comporto di malattia.
– Non ci posso ancora credere a quello che mi è successo! Non ci voglio credere da donna, lavoratrice, mamma single e, soprattutto, da difensore dei diritti delle donne e delle lavoratrici precarie, sin dai tempi della mia stessa precarietà lavorativa. Infatti, sono stata una lavoratrice precaria fino al 2005, anno in cui è nato mio figlio Francesco, con tutti i contratti possibili e immaginabili.
Da sempre nel’Informazione, nella Formazione e nella Musica, Ketty ha cominciato a fare la fotoreporter, con Fabrizio De André e a scrivere su testate come L’Unità a 15 anni. Ecco l’intervista concessa.
Hai una storia “impegnata”, alle spalle, e ciò che ti è successo dici che non ti sembra vero.
–Si, la mia storia ha un background che si lega tantissimo alla difesa delle donne e dei nostri diritti. Ho imparato tantissimo dall’impegno sindacale e politico respirato in famiglia, quando i sindacalisti, nel mio caso come la mia mamma, erano in stretto contatto con i lavoratori e portavano anche “a casa” i problemi e le emozioni delle trattative. Ho insegnato Cinema dal 1992 al 2005, Comunicazione e Diritti e Doveri dei lavoratori; sono documentarista, blogger e ho scritto diversi libri e saggi, sulla discriminazione di genere e in particolare sulla violenza sulle donne.
Quando hai cominciato a fare la sindacalista?
Nel 2006, per merito; eletta al Congresso di Milano, come dirigente. Per andare a lavorare al sindacato ho rinunciato all’insegnamento nei Corsi di Cinema del Comune di Milano (n.d.r.: si commuove tanto mentre ne parla), e pensavo di aver raggiunto un traguardo fondamentale, come donna e come lavoratrice. Con il “posto fisso”, poi, avrei finalmente trovato anche la tranquillità per la mia famiglia, composta solo da me e il mio bambino, senza più correre a presentar progetti o inseguendo contratti a tempo determinato, sottopagati e appunto precari.
Perchè la CGIL è giunta a una decisione così drastica?
Ho decine di mail di richiesta incontri con tutti i dirigenti sindacali, locali e regionali (ho evitato la Camusso perchè pensavo di risolvere senza arrivare al licenziamento) dal momento in cui, terminato il mandato come Segretario politico, dopo 8 anni, sapevo che avrei dovuto cambiare ufficio. Sinceramente non l’ho ancora capito, il perchè. Pensavo che, come succede a tutti i dirigenti, di mantenere il mio ruolo da funzionario, cosa che invece, non è accaduta.
Sono sempre stata una donna generosa, positiva e ho messo a disposizione le mie capacità a chi non era forse in grado di entrare in competizione con me, facendoli pure passare per bravi. Ha dato molto fastidio che andassi in tv (cosa che facevo già da prima di arrivare in CGIL, tra l’altro), mettendo a disposizione competenze nella comunicazione esterna e anche come opinionista, già una mia precedente professionalità.
All’inizio, le mie presenze televisive, dal 2011 al 2014, per cui avevo chiesto il permesso al precedente Segretario generale, erano assolutamente ben accette e gradite. Il fatto di saper comunicare in tv, in ogni ambito di dibattito (dall’attualità, al Gossip, alla Politica, al Sindacato), per me era naturale e lo mettevo a disposizione come “optional”, in positivo, per il bene dell’istituzione. E i risultati c’erano: migliaia di donne venivano in ufficio da me, a raccontare la loro storia, dapprima di lavoro e poi di violenze, la mattina dopo avermi vista nel salotto tv di Barbara D’Urso e naturalmente pensavo che il contatto con il sindacato, dovuto alla mia immagine, fosse solo un evento positivo, per tutti. Dalla fine del 2014, è cambiata ogni cosa, con l’arrivo del nuovo Segretario generale.
Al Sindacato non andava più bene la tua presenza nei media, anche se lo rappresentavi in modo positivo? A quanto pare, no. E il calvario – l’epurazione, diciamo così, con un termine forte – è partita, per rovinarmi l’immagine e, purtroppo, regalarmi l’incubo
dell’ansia, dovuta a frustrazione e stress occupazionale. Sono stata messa al bando, perché troppo visibile, perché la mia faccia “andava troppo in televisione” ed ero molto apprezzata dalle lavoratrici che ogni giorno affollavano il mio ufficio. La cattiveria, purtroppo, può distruggere.
Se per anni sono stata invitata nei salotti televisivi, era perchè c’erano spazi per inoltrare i nostri messaggi e non lo consideravo un errore o una colpa essere idonea a farlo!
Cosati rimane di questa esperienza?
Una grande amarezza. Perchè a gente sconosciuta, messa a capo di una istituzione così importante, viene data la possibilità di lasciare a casa una donna come me, che lotta da sempre per i diritti degli altri, e che ha un passato come il mio, di esperienza, di valore e di… merito. Ho un bimbo di 12 anni, da crescere, da sola… Mi stupisce il fatto che, invece di “sfruttare” competenze interne , si preferisca utilizzare risorse magari esterne e lasciare a casa chi ne ha il diritto e le capacità, solo per invidie, cattiverie e appartenenze politiche diverse. La cosa più importante, però, è che non hanno tenuto conto di tutto ciò che ho realizzato nell’ambito dell’attività sindacale e organizzativa: la gestione dei Corsi di formazione per i lavoratori delle agenzie di somministrazione, prima lasciati allo sbando e che ho fatto divenire un introito fondamentale per la categoria NIDIL, e la mancanza di consapevolezza e di apprezzamento per aver portato centinaia di iscritti e migliaia di donne al sindacato, proprio perché la mia faccia era riconosciuta da coloro che avevano bisogno di aiuto.
Ho chiesto di farmi lavorare per la Comunicazione, Organizzazione o Formazione o al Centro Donna (chiedevo di utilizzare semplicemente la mia professionalità e le mie competenze!!!) alla fine del mandato come Segretario politico, invece, hanno preso alla lettera la parola Segretario, che io ho sempre cercato di far declinare al femminile, e mi hanno trasferita a far pratiche per la disoccupazione, come operatore al terminale, addirittura un gradino sotto la condizione di “segretaria” amministrativa.
Sono stata comandata a far pratiche data entry al patronato Inca e poi a far fotocopie in un appartamentoper i coworkers, dove son durata 1 settimana,
per buttarmi fuori definitivamente dal “Palazzo”. Con relativo decurtamento stipendio, naturalmente. Il primo incarico nel 2014, l’ho accettato solo perché doveva essere “temporaneo” e con la stessa retribuzione, (proposta di due dirigenti che non hanno esitato a rovinare la mia vita ma che sanno benissimo come piazzare i parenti e sfruttare il sindacato) ma al secondo trasferimento, nel gennaio 2017, sono andata ancora più in crisi! Era assurdo! Mi chiedevo: perché non ci mandano i loro figli diciottenni a far gavetta e fotocopie o in una reception, invece di farli entrare già nelle Segreterie con 1800 euro al mese?
Mi hanno demansionata e il mio stipendio, dal 2014, è stato decurtato di 400 euro. Sono stata una ingenua, ho creduto a promesse gratuite. Non era
mai successo a nessuno, in questo modo! Con le mie competenze, perché dovevo accettare un declassamento simile? Il tetto di cristallo, di cui parlo da decenni, mi stava crollando addosso! E, naturalmente, quando sei “bruciata”, spariscono tutti…si è completamente SOLE.
Evidentemente, avendo eclissato troppo gli yes man e incattivito le yes women, è partita la guerra nei miei confronti.
Ed è cominciato il periodo più brutto della mia vita. Dopo un anno di malattia, dovuta a loro, al demansionamento e al mobbing, sono stata
licenziata da chi dice di difendere soprattutto i diritti delle donne.
Ho fatto la visita alla Medicina del lavoro e lì sono rimasti veramente basiti.
In questi 4 anni ho scritto e incontrato tutti, per chiedere la mia giusta ricollocazione lavorativa, ho continuato a fare volontariato comunque, ho scritto libri sulla violenza sulle donne, la discriminazione nei luoghi di lavoro e organizzato iniziative sui temi delle donne, realizzato trasmissioni televisive e radio. Con la morte nel cuore ma non posso farne a meno. É nel mio Dna, lo faccio da sempre e sto male se non mi si da’ la possibilità di farlo e essere
utile (ho collaborato per 20 anni con un partigiano e ho la passione per la solidarietà e la giustizia).
L’anno scorso ho ricevuto lettere di contestazione per aver partecipato e organizzato tali eventi e la proposta di accordo capestro, con squallidi accordi economici e la promessa di tacere su tutto, da parte di questi dirigenti, ed avvalendomi della collaborazione di un avvocato sbagliato a cui avevo dato il mandato. Ho detto no, anche alla proposta di mettermi in aspettativa non retribuita (e come campo?); ho cambiato avvocato e ho “sprecato” tanto tempo, fino al licenziamento. Ora, dovesse essere la mia ultima battaglia sindacale, la porterò fino in fondo, dopo 4 anni di silenzio, sopportazione, crisi depressiva con ansia e stress occupazionale dovuto a mobbing e demansionamento immotivati. Non ho accettato un accordo capestro, accettando una elemosina per andarmene e stare pure zitta per sempre. Ci rimetto il posto fisso (e con un figlio da crescere da sola, non è facile), ma non voglio perdere quella che mi ha sempre rappresentato: la dignità.
Sono abituata a fare, non sto ferma un secondo e finalmente posso urlare la mia battaglia alla luce del sole. Io sono così e come tutte le donne e uomini che hanno lavorato sempre in modo precario, vivendo sempre in movimento e continuo aggiornamento, sono abituata alla lotta e non ho paura di lottare contro Golia. Sarà una lotta dura, non avrei mai pensato di gestire una battaglia personale con il sindacato. Sono molto amareggiata ma convinta che le decisioni arbitrarie di poche persone, non possono rovinare la mia vita. Questi sconosciuti dirigenti rottamatori non hanno forse idea di come possono reagire alcune donne. Se hanno deciso il mio licenziamento, mi devono dire PERCHE’, e sappiano che la mia lotta sarà sia per me che per tutte le donne e uomini che hanno lavorato sempre per acquisire i diritti di tutti.
In primis, sarà dedicata alla mia mamma, che per il sindacato ha sacrificato la vita. E la mia lotta, sarà naturalmente, il mio prossimo libro.
Invitero’ le donne a lottare con me, come ho sempre fatto. Morale: io c’ho perso in salute (faccio terapie psicologiche eda pochi mesi, da ipertesa, devo prendere pure la pastiglia), è stata rovinata la mia immagine e ora devo ricostruire la mia vita, anche lavorativa. Ho un bimbo di 12 anni, che ho cresciuto a pane, lotte per il lavoro, sindacali e politiche, e a cui devo assicurare il futuro senza l’aiuto di nessuno. Sono però una pasionaria (altro che la Lombardi). Sono una storica della Guerra civile di Spagna e ho portato tanti sindacalisti nei territori spagnoli, su invito del partigiano Giovanni Pesce, nei viaggi della Memoria che organizzavo.
Perché fai tutto questo?
Perché, cosi” come ho ascoltato, difeso e invitato a denunciare le violenze subite da migliaia di donne, ora la mia battaglia potrà essere utile e di esempio per far denunciare il mancato rispetto dei diritti, da parte di qualsiasi datore di lavoro.
Auguriamo a Ketty di vincere la sua battaglia per la giustizia. Come Opinionista, Scrittrice, Blogger, Docente di Comunicazione – Cinema – Diritti e Doveri dei lavoratori. Soprattutto, di vincerla come Donna per tutti coloro che dovessero trovarsi ad affrontare il suo calvario ma senza le sue risorse e competenze.
Lisa Bernardini
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