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Il Festival di Sanremo diventa Tribuna Politica

Sfogliando i giornali si ha l’impressione che il Festival di Sanremo, quest’anno, si sia trasformato in una “Tribuna Politica”, per di più monotematica e unidirezionale.

Lontani i tempi in cui il Festival veniva ricordato per una particolare canzone, di Domenico Modugno, Sergio Endrigo o Al Bano, i commentatori ora di canzoni parlano e scrivono poco o niente.

L’attenzione si è concentrata sulla solita performance di Roberto Benigni dedicata alla “Costituzione più bella del mondo”, sulla presenza in sala del presidente Mattarella, su Paola Egonu che, pur vestendo la maglia azzurra, accusa l’intero popolo italiano di razzismo. Oppure sull’esibizione senza veli (o quasi) di Chiara Ferragni.

Ovvero: tutto quanto fa spettacolo. Ma il Festival è (o dovrebbe essere) per l’appunto musicale. Invece quello odierno è tutt’altra cosa. A cominciare dalle discussioni sull’opportunità o meno di proiettare il video di Zelensky.

Intendiamoci. Non amare Giorgia Meloni e il governo di centro-destra è una posizione perfettamente legittima. Va espressa, tuttavia, nelle sedi appropriate. In Parlamento, sui giornali e anche alla TV, garantendo però il contraddittorio e il pluralismo delle opinioni.

Non è avvenuto Ed è piuttosto strano che un conduttore di solito equilibrato come Amadeus si sia lasciato invischiare in una simile kermesse che, come dicevo poc’anzi, è monotematica e unidirezionale.

Lecito attendersi tutto questo da Fabio Fazio. Lo spettatore conosce in anticipo dove andrà a parare “Che tempo che fa” e, se non gradisce, evita di guardare la trasmissione.

Il Festival, invece, in teoria si rivolge a tutti, ragion per cui dovrebbe mantenere un certo equilibrio, senza scordare che le canzoni rappresentano la sua unica “ragione sociale”.

Se si percorre un’altra strada viene tradita la sua stessa ragion d’essere, e non va affatto bene. In futuro Sanremo 2023 non verrà certo ricordato per ragioni canore, ma per l’incredibile martellamento pseudopolitico che lo ha dominato.

Mi si può rispondere che ha comunque registrato uno share molto alto, ma questa non è una giustificazione. E’ auspicabile che i vertici RAI, nelle prossime edizioni, scelgano di percorrere strade diverse.

 

Michele Marsonet

Filosofo, Professore di filosofia della scienza e metodologia delle scienze umane, Presidente del dipartimento di filosofia e vicerettore per le relazioni internazionali dell’Università di Genova

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