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Calcio

Il “capro espiatorio”

Il “capro espiatorio”. Fino a quando eravamo anime fragili ed innocenti i nostri vecchi ci avevano insegnato che tifare Toro era da predestinati, che tifare Toro non sarebbe mai e poi mai stata una scelta. Era il Toro ad averci condannato a questa dimensione tanto attraente quanto dannata. Idea romantica, nostalgica e dal sapore agrodolce.
Ma il passato è passato. E come sosteneva tal Francesca Piovesan, “i colori ed i profumi del passato nel nostro cuore sono sempre più vividi e dolci di quelli del presente”.

Descrivere cosa sia il nostro presente credo sia impresa assai ardua, specie se quella luce che ha da sempre incantato gli occhi del tifoso si tinge di rabbia repressa, di vendette personali, di squallidi insulti e mere constatazioni non troppo amichevoli. Una luce che continua ormai a puntare con sempre più insistenza verso l’ostacolo di turno ma mai sulla la rotta, mai sulla linea guida, mai su quella via maestra verso la quale tutti noi, nessuno escluso, dovremmo incamminarci con decisione, a passo spedito, mano nella mano.
Oggi si preferisce intraprendere la strada della goliardia, dell’umorismo spiccio o del tappezzare costantemente il web di emozioni sì forti ma decisamente irrazionali.

“Pluvia defit, causa Christiani sunt” , recitava Sant’Agostino. ”Manca la pioggia, la colpa è dei Cristiani” rappresenta la sintesi perfetta di ciò che oggi va più di moda nel mondo granata : trovare ogni anno che passa il capro espiatorio, nonostante le continue nefandezze di questa società.
Dopo 17 anni di gestione Cairo credo sia ormai evidente che un buon capro espiatorio valga quasi quanto una soluzione a tutti i problemi; è quel principio esplicativo che rende sazi a metà se non lo si completa con l’insulto, con la sentenza pungente, con gli epiteti acchiappa-like.

Si incolpa la scelta di un ex giocatore per scomodare per una buona volta quel meccanismo di difesa freudiano del tifoso: l’identità violata, la presa in giro nei confronti di chi lo ha sostenuto per anni ed anni e si è sentito d’un tratto tradito. Ci si crogiola in quel senso di beatitudine data dalla divin giustizia tramutatasi in un palo di porta dello stadio Olimpico di Roma.

Oggi il tifoso del Toro è ormai frustrato. Tale frustrazione scaturisce dal non poter vedere alcun modo di risolvere il problema che sta a monte, poiché insormontabile. Ecco allora che la risposta più semplice sia quella di canalizzare l’impotenza, la paura, la rabbia verso una terza, quarta, quinta persona. Ed il tifoso si sente rafforzato nella sua sensazione distorta di potere di giustizia, alleviando la colpa e la vergogna nei modi più disparati. Chi ha segnato oltre 100 goal in maglia granata diventa tutto d’un tratto “un bidone”. Chi ha sudato per 7 anni la maglia granata diventa “l’ingrato”. E se sceglie di voler tirare un calcio di rigore contro la sua ex squadra provoca sdegno, rabbia, istinti omicidi. Poi però scopri che un tal Paolo Pulici, non appena passò alla Fiorentina, dichiarò apertamente che avrebbe voluto segnare volentieri un goal contro “il suo Toro”. Mistero.

Intanto il mastro burattinaio dagli studi di Milano ha già pronto il prossimo numero da far performare in pubblica piazza, tra applausi scroscianti e lacrime commosse. E poco importa se ha vestito la fascia di capitano per poi gettarla a terra imprecando in serbo per un pugno di soldi in meno.

L’altare sacrificale non può aspettare.

( si ringrazia Daniela Petris per la collaborazione )

redazione

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