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Editoriale

Gli strani Mondiali del Qatar

Molti si chiedono perché quest’anno i Mondiali di calcio si tengano proprio in Qatar. Il quesito non si presta a facili risposte. Tante, infatti, le controindicazioni. A partire dal clima, poiché il piccolo emirato del Golfo Persico è situato in pieno deserto, e non pare quindi adatto ad ospitare manifestazioni sportive di alto livello come questa.

In secondo luogo il Qatar non è cero un esempio di rispetto dei diritti umani. La maggioranza della popolazione è formata da lavoratori stranieri che vengono spesso sfruttati in modo brutale. E lo sono stati anche nella costruzione dei numerosi e avveniristici stadi di calcio che, in precedenza, neppure esistevano.

Né si possono tacere i perenni sospetti di collusione con organizzazioni islamiste come l’ISIS e, più recentemente, i talebani afghani. In questo caso si risponde che nei pressi della capitale, Doha, è situata una grande base aerea, con circa 10.000 soldati, utilizzata dall’aviazione britannica e, soprattutto, da quella americana. Proprio da tale base, nel 2003, fu organizzata la spedizione occidentale contro l’Iraq di Saddam Hussein.

Quanto al mancato rispetto dei diritti umani, inutile parlarne visto che i Giochi olimpici si sono tenuti a Pechino nel 2008, e quelli olimpici invernali nella stessa sede nel 2022. Difficile affermare che la Repubblica Popolare Cinese sia meglio del Qatar da questo punto di vista.

Resta però il grande enigma del clima che, come prima si accennava, risulta ben poco adatto alle competizioni sportive di alto livello. L’emirato si è allora premunito installando l’aria condizionata ovunque (pare anche negli stadi). Ci si chiede comunque il perché di una scelta che sembra assai anomala.

La risposta è ovvia. L’emirato è una nazione piccola ma ricchissima di risorse naturali, petrolio e gas in primis. Ha risorse enormi, grazie alle quali può vantare un PIL che supera i 100.000 dollari pro capite, secondo soltanto a quello del Lussemburgo. Ne consegue che i cittadini qatarioti sono i più ricchi del mondo, escludendo ovviamente gli immigrati che vi lavorano, senza godere di diritti e con il solo scopo di mandare denaro a casa.

Il Qatar continua inoltre a fare grandi acquisti in Europa e in America. L’emiro possiede la squadra francese del Paris Saint-Germain, e sono di proprietà qatariota anche innumerevoli edifici famosi e negozi di lusso sparsi in varie città europee e USA. Nessun mistero, dunque. Con una simile potenza economica e finanziaria l’emirato può permettersi tutto per migliorare la propria immagine internazionale.

Resta da vedere se sia davvero la sede adatta per ospitare il torneo di football più importante del mondo, e per garantire, con il suo clima desertico, la salute degli atleti. Ma cosa conta, in fondo? Pecunia non olet (anche se in questo caso odora di petrolio), e dobbiamo tutti contribuire a rinnovare l’immagine dell’emiro.

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Michele Marsonet

Filosofo, Professore di filosofia della scienza e metodologia delle scienze umane, Presidente del dipartimento di filosofia e vicerettore per le relazioni internazionali dell’Università di Genova

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