Con tutto il rispetto dovuto, alla vigilia di una festa religiosa particolarmente importante, ci troviamo a discutere su di uno dei più complicati quesiti che l’uomo si possa porre, almeno nel nostro Paese: il movimento olimpico si identifica con lo sport o lo sport si identifica con il movimento olimpico? Sembrerebbe cosa da Monsieur de La Palice, – diciamo ovvia – ed invece a quanto pare non lo è, tanto che se ne discute e tanto se ne discuterà, anzi se ne continua a discutere sin dal 1927, quando per un compromesso tra “regime fascista” e CONI si generò un modello e si mise a sistema la pratica sportiva degli italiani, ovunque e comunque con il coordinamento del Comitato Olimpico, salvo il ruolo di vigilanza della Presidenza del Consiglio. Con questo viatico i tesserati delle Federazioni, dell’OND, della GIL, dell’ONB, del GUF arrivarono a superare i dodici milioni nel 1942, ovvero tanti quanti quelli attuali con gli opportuni aggiornamenti delle sigle. Diciamo che con alterne vicende il mondo dello sport, anche grazie alle sue risorse endogene, soprattutto umane e vocate al volontariato, ha mantenuto il passo, superando le alterne vicende della storia e del costume, non soffermandosi più di tanto sul sociologico, quanto sulla sua competitività ai fini del palmares. Adesso che si ripropone per l’ennesima volta il quesito, la quadratura del concetto intorno al dogma dello sport, come fattore primario ai fini educativi, salutistici e sociali, a prescindere dalla sua storica vocazione olimpica, si rischia di fatto il pasticcio. In effetti, il modello italiano adesso è una via di mezzo che mantiene il passo ad un livello di eccellenza nel confronto olimpico e internazionale, per scendere poi di molti gradini rispetto ai doveri con la popolazione scolastica, dalle primarie alle università, con gli adulti imbolsiti e gli anziani sempre più anziani, ma con costi insopportabili per la scarsa qualità della salute determinata dalla carenza di attività motoria. Adesso occorre dare risposte razionali e non compulsive. Adesso occorre fare seriamente i conti e non bastano le risorse attualmente disponibili tra CONI e CONI Servizi ( tra i quattro e i cinquecento milioni) ma dieci, venti volte tanto, almeno per avviare una riforma degna del problema che abbiamo di fronte, per arrivare ad una economia di scala che riduca drasticamente le spese sanitarie e cambi radicalmente la qualità della vita di milioni di cittadini , oggi vittime del diabete e delle malattie cardiovascolari conseguenti l’inattività fisica, la mancanza totale di quella cultura che portò de Coubertin prima alla visione sociale dello sport e poi alla riproposizione degli antichi giochi olimpici nella accezione moderna dal 1896, dodici anni dopo che Pio IX,l’8 Dicembre 1854 aveva appunto proclamato il Dogma dell’Immacolata – come verità rivelata da Dio – e il protestante razionalista Harnach lo aveva contestato, mettendo in discussione l’infallibilità del Papa. Oggi, quel “Ma quando, e perché, e da chi?” comincia a risuonare nel mondo dello sport italico che rischia di finire in confusione in assenza di una vera proposta di riforma dotata delle risorse e di un piano di attuazione assolutamente necessari nella logica indispensabile della sostenibilità organizzativa, prima ancora di quella economica .
Ruggero Alcanterini
Direttore responsabile de L’Eco del Litorale
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