Il 5×1000 è la quota pari allo 0,5% dell’IRPEF che, dal 2006, i contribuenti possono assegnare a enti del Terzo Settore, istituti di ricerca, associazioni umanitarie, associazioni sportive dilettantistiche, Comuni per le attività sociali e altri soggetti senza scopo di lucro.
Si tratta di fondi già inclusi nelle imposte dovute, quindi non richiede esborsi aggiuntivi: insomma, stiamo parlando di una scelta volontaria che trasforma una parte delle tasse in sostegno concreto a progetti di interesse generale.
Per comprendere il valore e il peso reale di una semplice firma – e per scoprire progetti salvavita sempre in prima linea – clicca e scopri come funziona il 5×1000: questo strumento, infatti, permette anche di finanziare ospedali da campo, campagne vaccinali e interventi chirurgici d’emergenza anche in quelle zone remote devastate da conflitti, epidemie o gravi problematiche sociali.
Il meccanismo nasce dal principio di sussidiarietà fiscale: lo Stato devolve la quota indicata dal contribuente direttamente all’ente prescelto o, in assenza della segnalazione del codice fiscale dell’ente destinatario della donazione, la ripartisce tra tutti i soggetti appartenenti al medesimo riquadro firmato. Senza firma, l’importo resta nelle casse erariali.
Una precisazione doverosa, anche per evitare di fare confusione: la destinazione del 5×1000 non preclude la contemporanea opzione per il 2×1000 o per l’8×1000 alle confessioni religiose. Le tre quote, infatti, sono indipendenti e cumulabili.
Le categorie ammesse sono definite dalla legge e regolamentate da ministeri distinti. Più precisamente, le categorie destinatarie del 5×1000 sono le seguenti:
Gli elenchi dei beneficiari sono pubblicati ogni anno dall’Agenzia delle Entrate, completi di importo assegnato e numero di preferenze.
La trasparenza è garantita dall’obbligo, per tutti i destinatari, di pubblicare sul proprio sito un rendiconto dettagliato entro dodici mesi dall’accredito e conservarne la documentazione per almeno dieci anni.
Per destinare correttamente il 5×1000, prima di tutto bisogna identificare l’ente beneficiario, quindi reperire il codice fiscale dell’organizzazione da sostenere, che è comunicato in modo chiaro sui suoi canali ufficiali.
Quindi, occorre firmare nel riquadro appropriato del modello 730, Modello Redditi Persone Fisiche o della Certificazione Unica precompilata, indicando sempre quel codice fiscale.
Infine, bisogna verificare la ricevuta rilasciata dal CAF o dal professionista abilitato per accertarsi che la scelta sia inserita.
Chi non presenta la dichiarazione può utilizzare la scheda integrativa allegata alla CU: basta inserirla in busta chiusa, indicare sull’esterno “Scelta per la destinazione del 5×1000 dell’IRPEF”, scrivere nome, cognome e codice fiscale e, infine, consegnarla in banca, all’ufficio postale o a un intermediario abilitato.
Il Decreto Legislativo n. 111/2017 e il DPCM 23 luglio 2020 hanno uniformato i criteri di accreditamento e reso più rigorosa la rendicontazione. Entrando più nello specifico, è previsto un modello standard accompagnato da relazione illustrativa che dettaglia attività, risultati ed eventuali accantonamenti.
Per somme pari o superiori a 20.000 euro, la documentazione deve essere trasmessa anche all’amministrazione erogatrice via PEC o attraverso la piattaforma informatica dedicata, entro 30 giorni dalla scadenza del termine per la redazione. Inoltre, è previsto l’obbligo di pubblicazione sul sito web dell’ente entro 60 giorni dalla scadenza del termine per la redazione del rendiconto.
Grazie a questi controlli, il 5×1000 è diventato una fonte stabile di finanziamento per la ricerca, il welfare territoriale e la salvaguardia del patrimonio culturale: nel 2023 la quota complessiva ha superato i cinquecento milioni di euro, con quasi un contribuente su due che ha espresso una preferenza.
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