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Attualità

Buon senso e lavori rifiutati

Chissà perché i discorsi di buon senso, in Italia, risultano sempre difficili da fare. Dovrebbe essere il contrario, se fossimo un Paese normale. E invece non lo siamo, ci piaccia o no. Voglio inoltre chiarire sin dall’inizio che non intendo utilizzare argomentazioni astratte. Non parlo del common sense tanto caro alla scuola filosofica scozzese – purtroppo poco conosciuta in ambito italiano – ma del termine quasi banale “buon senso”, quello che adoperiamo a piene mani nelle nostre conversazioni quotidiane.

Abbiamo sperperato risorse che, letteralmente, non c’erano, garantendoci uno stile di vita che non potevamo permetterci. La classe politica ha colpe enormi, ma non si venga a dire che tutto, ma proprio tutto, è imputabile ai politici. Siamo, in realtà, complici di una mentalità diffusa, che ha indotto a ritenere per anni che lo Stato avesse risorse infinite. Valeva il famoso detto “Tanto paga Pantalone!”.

E invece le risorse infinite non c’erano affatto, tanto che siamo sommersi da un debito che è quasi interamente nelle mani dei mercati internazionali i quali, si sa, non sono teneri. Pretendono la restituzione delle somme investite, ragion per cui ogni asta dei nostri buoni del tesoro diventa un thriller.

I nostri nonni – e anche i padri – nei due dopoguerra emigravano in massa per trovare lavoro all’estero. La cosa destava sconforto ma la vita continuava, magari fondando comunità italiane ai quattro angoli del mondo. Poi è iniziato il flusso contrario. L’Italia, da terra di emigranti, è diventata un Paese che “importa” lavoratori stranieri in grandi quantità. Importante è capirne i motivi.

Non sono poi così misteriosi come sembra. E’ accaduto che, a un certo punto, gli italiani hanno iniziato a rifiutare molti tipi di impiego. Talora perché pagati poco, più spesso poiché vengono ritenuti “degradanti” o poco soddisfacenti dal punto di vista del prestigio sociale. Si è diffuso il mito della laurea a tutti i costi, anche quando è chiaro che serve a poco o niente, e sono stati lasciati agli immigrati stranieri interi settori economici che avevano – e ancora hanno – un grande bisogno di addetti.

Gli esempi si sprecano. Gli artigiani, in tutti i sensi della parola, sono diventati merce rara. Più difficile reperire l’idraulico e l’elettricista del medico. I restauratori di mobili, pur ben pagati, sono anch’essi pochi e hanno liste d’attesa degne di un illustre primario.

Ma c’è un caso ancora più eclatante e ben noto. L’età media della popolazione italiana negli ultimi decenni è aumentata in modo prima impensabile. Ne è derivata la necessità di trovare persone che assistano gli anziani in modo continuo, per l’intera giornata e spesso anche di notte. Gli anziani sono tantissimi e, di conseguenza, anche il numero di chi presta assistenza domiciliare è destinato a crescere sempre più.

Si trovano italiani/e disposti a operare in questo settore così in crescita? Casi rarissimi. Siamo stati invasi – nel senso buono della parola, per carità – da “badanti” che provengono per lo più dal Sud America o dai Paesi dell’Est che una volta appartenevano al blocco sovietico.

Non voglio farla troppo lunga dal momento che si possono facilmente trovare decine di esempi altrettanto calzanti. A questo punto, però, urge chiedersi se il mercato del lavoro nostrano sia davvero così asfittico come si vuole far credere. Dipende. Se tutti aspirano a una professione che implichi la laurea e fornisca subito alti guadagni, allora lo è. Se invece viene considerato nel suo complesso lo diventa assai meno, con interi comparti che assorbirebbero notevoli quantità di mano d’opera in un periodo di crisi economica grave.

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Michele Marsonet

Filosofo, Professore di filosofia della scienza e metodologia delle scienze umane, Presidente del dipartimento di filosofia e vicerettore per le relazioni internazionali dell’Università di Genova

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Michele Marsonet
Tags: lavoro

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