I personaggi beckettiani si muovono in una zona grigia, in un paesaggio del nulla, quello dell’annientamento dei valori umani. Qualsiasi tentativo di umanizzazione cade nel vuoto, il concetto di tempo è fluido, i personaggi sono sospesi nel vuoto come esistenze espropriate, in un vuoto di disposizioni sconosciute dove l’annientamento di tutte le posizioni, dei valori e delle certezze, è stato realizzato. Il sarcasmo alla ricerca di una fine che non ha fine è l’espressione dominante degli esercizi di sopravvivenza dei personaggi. Essi cercano la fine della fine, che tuttavia non arriva mai. Ogni nuovo inizio è la definizione di una nuova fine. Pessimismo estremo. I personaggi tacciono aspettando la rivelazione dell’indicibile, che non si rivela mai.
Alcune domande che riguardano la natura umana e il futuro forse avranno risposte, la maggior parte però no. Forse alcune di queste domande avranno risposte dagli stessi spettatori. Inoltre, l’arte del teatro esiste e persiste proprio in virtù delle domande senza risposta.
Con gli straordinari attori Enzo Vetrano, Stefano Randisi, Paolo Musio, i promettenti giovani Giulio Germano Cervi, Rocco Ancarola e il collaboratore alla drammaturgia Michalis Traitsis c’è stata un’ottima collaborazione, piena di entusiasmo e acuta curiosità per tutto ciò che riguarda questo testo liminale, il quale, oggi più che in ogni altra epoca, come tutti i testi che hanno un nucleo ontologico, può generare nuove idee per lo sviluppo del teatro.
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