Anche il 2023, amici granata, è terminato. Uno dei tanti, modesti, piatti, monotoni, soporiferi anni con i quali dobbiamo fare i conti. La noia respinge ogni patto con l’imprevedibile, allontana e spegne quella benedetta scintilla di entusiasmi che potrebbero per assurdo cambiare ogni cosa in ogni situazione.
Questo Toro ormai ci ha abituati al voler per forza proiettarci in una dimensione dove l’imperfezione non è bellezza ma orrore, dove una parata miracolosa non fa testo poiché rappresenta solo una goccia in un mare di errori banali, spossanti, grossolani
ai quali questa società ci ha purtroppo abituati.
Ci si abitua a veder far del male, a tollerarlo per poi cominciare ad approvario finendo per commetterlo scriveva Honore de Balzac. Il male inteso in special modo come privazione di ogni sentimento di gioia e godimento quando si vince una partita, poiché consci ormai che questo stesso venga soffocato irrimediabilmente dall’eterna incompiutezza della nostra dimensione. Ne siamo perfettamente consapevoli, noi granata. Alcuni di noi iniziano a godere delle sconfitte, ormai rassegnati dall’idea che il Toro, il nostro Toro, sia ormai acqua passata, che la creatura abbia emesso il primo vagito strappando promesse idilliache, che coloro che continuano a supportare “l’idea” di Toro allo Stadio vogliano testardamente
vivere di illusioni per non morire di atroce realtà.
Lo slogan “Solo per la maglia” che la Maratona ha deciso da un po’ di tempo di esporre con uno striscione, racchiude un po’ quella facoltà di illusione dell’unica vera realtà che da una parte sorregge le nostre speranze che un giorno qualcosa possa cambiare ma dall’altra sembra proiettarci verso un vuoto incolmabile tra tifoso e società il giovane tifoso si crogiola nella bellezza delle illusioni; si sogna l’Europa perché siamo una delle difese meno battute, ci si filma mentre si esulta perché “si è liberi di tifare come si vuole”, si vola a comprare la terza maglietta arancione perché fa influencer, si ride di gusto al video del personaggio che dovrebbe rappresentarci nel mondo ballare scatenato sul palco per la festa dei 117 anni di Toro. Insomma, forse la bellezza di alcuni nostri giovani tifosi sta proprio nel voler vivere nell’illusione dell’incompiutezza. Si adattano, la trasformano a loro piacimento e ne diventano
dipendenti cronici.
Dall’altra parte i nostalgici del momento d’amore, quello che porta ad illuderti che durerà per sempre. Si rimane legati al concetto per proiettarlo indistintamente al giocatore di turno, presa ieri per rivenderio domani. Si crogiolano nell’egoismo sentimentale autolesionistico per gettarsi polvere negli occhi in modo piacevole.
Belotti diventa il male incurabile (nonostante il record di reti), immobile e Cerci del santi che ancora vengono rispolverati in quel Toro-Genoa del 13 Aprile 2014.
L’addio di Belotti assume i contorni di una soap opera dove l’attore principale abbandona il cast senza avvisare, scopriamo che Juric abbia aperto “mille volte” un Filadelfia ancora sotto esame di sicurezza, che i tifosi del Rennes, durante una delle amichevoli estive contro il Torino, vengano ripresi ridere davanti al video del litigio ormai diventato virale dello stesso Juric e Vagnati di qualche giorno prima. Una insalata mista condita da una salsa vinaigrette di massima confusione e di mero
conflitto
Quali sono i buoni propositi per il 2024? Difficile poter rispondere. Lasciarsi andare a quella ormai abitudinaria spossatezza, a quel cedere volontariamente e voluttuosamente alla rassegnazione e all’anonimato come in tanti di noi han deciso di fare? Risposta non semplice, caro tifoso granata, che tu ti senta più vicino ad modus essendi piuttosto che ad un altro.
Di una cosa peró son certo; una delle tante risposte che ognuno di voi si darà, potrebbe rappresentare la chiave di volta.
O di svolta?
Buon 2024 a tutti.
Leo Menegazzi
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