Non la voglio fare lunga, ma quando ci si accorge che da Vittorio Veltroni a Sergio Zavoli, passando per Mario Ferretti, Paolo Valenti e Guglielmo Moretti, ci corre la storia dell’Italia fascista e poi repubblicana, partendo dall’EIAR per finire alla RAI, sul contrappunto delle due ruote come del pallone, allora si capisce che il giornalismo sportivo d’impatto, è stato tanto importante quanto e più del resto generalista, culturale o politico, salvo la cronaca e gli approfondimenti, di cui proprio Zavoli è stato autore eccelso degli acuti. Sergio, amico di Federico Fellini, si sa, era un socialista, predecessore di Enrico Manca, alla Presidenza dell’Ente Radiotelevisivo e negli anni ottanta non mancò all’appuntamento con il Premio Europa di narrativa e saggistica, organizzato da Sergio Sorgini con il Circolo Letterario AICS in Piazza del Pantheon, dove io, da vice presidente, mi trovai al suo fianco, rinnovando l’esperienza fatta nel novembre del 1982 nella Prima Conferenza Nazionale dello Sport, quando sempre Zavoli presiedeva la VIII Commissione, appunto quella che si occupava dell’immagine sportiva nei mass media. Con Zavoli se ne va una delle pietre angolari di un edificio purtroppo ancora incompiuto. Esponente dell’umanesimo socialista era anche lui un sopravvissuto allo tsunami di fango generato negli anni novanta e di cui non finiremo mai di pagare le conseguenze. Nel nostro divenire si sono ripetuti fatti ed episodi che hanno “beneficiato” della omertosa memoria cortissima, che contraddistingue la prevalente cultura dell’effimero. Ad esempio, tanto per mantenere l’attenzione sulla catastrofe di Beirut, dovremmo ricordare che Il 21 settembre del 1982 furono trucidati centinaia di rifugiati palestinesi, che pure erano sotto la protezione della diplomazia internazionale. Erano anni complicati e duri, bui, come sottolineava sempre Zavoli nel 1989 con “La notte della Repubblica” e come ci aveva rimembrato un altro dei nostri “buoni maestri”, Gianni Usvardi, al vertice dell’Associazione Italiana Cultura e Sport, dopo aver presieduto l’Unione Interparlamentare Sportiva negli anni sessanta-settanta, con la sua
“23 dicembre 1984 – morire sul 904”
: … Le parole non contano
I morti, i mutilati, i feriti dicono della immensità della nuova strage,
voluta da criminali individui che intendono abbattere la democrazia
colpendo nel cuore del Natale
quando uomini e cose chiedono
riposo e serenità.
Ma il terrorismo non ha cuore, né pietà.
La violenza è figlia delle barbarie
e così è tutto un morire nel treno
904 del 23 dicembre 1984.
Chi si è salvato ha risposto
con spontaneità, con coraggio.
Non ha sbigottito, il Paese,
non si è lasciato accecare dalle lacrime.
Ma ora chiede giustizia e noi con loro: senza dover attendere anni
come per l’Italicus e Piazza Fontana
e per la Stazione di Bologna.
GIUSTIZIA
perché il Paese possa credere nel futuro. …
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