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XVII GIOCHI OLIMPICI – ROMA 1960 – IL DOVERE COMPIUTO (297a puntata) PALLACANESTRO

AUGUSTO GIOMO (Treviso, 3 febbraio 1940 – Treviso, 27 gennaio 2016). A 21 anni, aveva partecipato al Torneo di Pallacanestro, nl ruolo di play-maker, classificandosi quarto, insieme con Mario Alesini, Antonio Calebotta, Achille Canna, Giovanni Gavagnin, Gianfranco Lombardi, Gianfranco Pieri, Alessandro Riminucci, Gianfranco Sardagna, Gabriele Vianello, Paolo Vittori. Augusto Gianni Giomo, fratello di Giorgio Giomo, Campione Italiano con l’ Olimpia Milano: 1959-60,aveva giocato nell’Olimpia Milano e nella Virtus Candy Bologna dal 1962 al 1968. Aveva vestito la maglia della squadra nazionale dal 1960 al 1970, con 50 presenze e 126 punti all’attivo. Ritiratosi dall’agonismo, si era riproposto come allenatore nel Fluobrene Mestre dal 1970, scoprendo Renato Villalta e nel 1973-74 aveva portato la Duco Mestre in serie A, dove nel campionato 1974-75 si sarebbe classificato 13º (14) retrocedendo in serie A2 (dopo gli spareggi di genova con Virtus Roma e Fortitudo Bologna).
Successivamente allenò il Torino, dapprima in A1 (1975-76) raggiungendo la finale di Coppa Korac, e la stagione successiva in A2, chiudendo (20 gennaio 1977) la carriera di allenatore nella massima serie.
Nel 1980-83 aveva allenato il Basket Montebelluna in serie B portandolo a sfiorare la promozione in serie A2. Poi, nel 1981, nuovamente con il Montebelluna in serie B2 dal 1989 per concludere nel 1992 assieme ad Eugenio Dalmasson.
GIANNI GIOMO IL REDIVIVO
di Gianfranco Civolani – Giganti del Basket – n. 4 aprile 1968
L’uomo della luce nasce con dieci anni di anticipo. Dunque Gianni Giomo – the lightman, direbbero in USA – precede un certo tipo di basket e gli costa fatica, poi, doversi fermare per attendere il truppone che si fa sotto.
Mi spiego meglio: negli anni cinquanta sono ancora parecchi quelli che in Italia santificano il basket alla Viva Villa. Paniere più paniere uguale vittoria, è la somma legge che taluni trusts di malinconici cervelli hanno eletto a primo ed unico imperativo categorico. Schemi? Macché schemi. Statistiche di squadra? Servono? Percentuali individuali e collettive? Ma siamo matti? E così si procede con una mentalità provinciale che non può umanamente far operare alcun salto di qualità a una disciplina sportiva che pretende di evolversi in una certa maniera.
Negli anni degli spanieratori folli e degli uncinatori implacabili, salta fuori dalla sua Treviso il chimico antemarcia del basket. Gianni Giomo, classe 1940, concepisce subito questo sport come un insieme di formule chimiche. Prendi dieci giocatori, analizzali, vivisezionali, metti le loro migliori qualità al servizio della causa comune e avrai il collettivo. Dove appunto ci sono api operaie a api regine, ma dove l’ape regina parassita deve sgomberare perché il parquet non è una passerella, è un campo di lavoro, dove i bravissimi e i meno bravi si fondono per buttar fuori dall’opificio un prodotto finito che sia basket, mica altra roba.
Costa fatico, diveo,fare il predicatore in testa al gruppo e poi voltarsi indietro, e quindi accorgersi che gli altri si sono fermati per strada a far baldoria e a celebrare la morte civile dello schema.
Eppure Giomo capisce che nella vita si procede per sbocchi. Basta aspettare al crocicchio giusto, basta aspettare, per aver ragione. E negli anni sessanta cambia un certo tipo di mentalità, cambiano certi gusti nel basket nostro. Volano a stormo certe parole: scout, scorer eccetera, prese a prestito dallo port matematico per eccellenza, dico il baseball, il baseball USA.
Il playmaker resta tale anche negli anni nostri, ma è il metro di valutazione usato per giudicare il playmaker che è tutto diverso. Adesso contiamo gli assists, i tiri da fuori. Interpretiamo questi dati, non andiamo a far chiacchiere a casaccio.
Torno a Giomo. Mi ricorda l’immagine del dispensatore di luce. Capita che una squadra possa arrancare alla brava. Lui arriva, amministra un po’ di palle ai compagni, dà il ritmo, come fosse una batteria in un’orchestra d’archi.
La faccio corta: Gianni Giomo si fa due Olimpiadi e un po’ di campionati del Mondo. Più un’infinità di di maglie azzurre (esordio nel 1959, Italia-Spagna).
Altezza uno e ottantacinque, anni ventotto, buon piazzato, discreta entrata, eccellenti attitudini difensive, stupenda inclinazione alla regia.
Resta un punto buio nella sia carriera. Succede che ad un certo punto – nel ’64, all’incirca – Giomo improvvisamente si inceppa. Ingrassa, perde quota, taluni sussurrano che il dispensatore di luce sia ormai da pantofole e da museo.
“Già – mi dice Gianni – la cosa mi provocò un enorme avvilimento. La gente si era dimenticata che mi ero beccato un disgraziato strappo alla schiena. Io forse la presi alla leggera, continuai a giocare in quelle condizioni. E pagai, dopo. Poi ebbe la sua importanza anche il mio pallino di voler fare l’allenatore. Ebbi successo, portai la squadra giovanile della Virtus al titolo italiano con una proficuo schema di zona pressing. Però ammetto che troppo spesso come giocatore ero frenato da certe riserve mentali che mi derivavano dalla mia doppia veste. Insomma, forse con la testa ero un po’ altrove…”.
Bene, lasciamo perdere. Veniamo all’oggi. Giomo torna in vetta. Ricordo una mia visita al campo dell’allenamento della Candy, sull’Adriatico, quest’estate. Mi disse Giomo: “O quest’anno o mai più. Scrivilo: voglio giocare un grande campionato perché ci tengo da matti a farmi la terza Olimpiade!”. I conti tornano. Dopo Swagerty e Mc Lombard, direi che Giomo è stato finora l’elemento-base della squadra. Metamorfosi, ritorno di fiamma, maggiore applicazione o cosa?
“Forse maggiore applicazione – lui dice – perché io sono un fanatico e mi preparo magari il doppio degli altri.. Ma non potevo essere soddisfatto di come mi erano andate le cose l’anno passato. E dunque all’avvio di questa stagione ho cercato di intensificare gli allenamento. Mi auguravo di poter dare quanto il mio standard mi consente. Oggi sono soddisfattissimo. In allenamento mi sento un leone. Schiaccio nel canestro, e nota che sono alto a malapena uno e ottantacinque. Se penso sempre alle Olimpiadi? Certo che ci penso, resta il mio grande traguardo.. Penso che sarò provato nel quadrangolare di Bologna. Ce la metterò tutta, vedremo”.
Una cosa ancora. Olimpiadi o meno, quale il futuro più immediato di Giomo?
“Vediamo. Sto laureandomi in chimica. Devo anche pensare al domani. Se vado in Messico, mi sa che tiro acanti ancora un paio d’anni sulle ali dell’entusiasmo. Cerca di capire, quest’anno sto sacrificando quasi tutto al basket. Ma se per il Messico mi va buca, beh, allora potrei anche pensare alla professione. Ho avuto buone offerte oer abbinare la chimica al basket. Una cosa mi pare sicura: io dall’ambiente del basket non posso uscire, ci morirei. E allora è solo questione di qualche anno e poi cambierò posto in panchina. Sì, farò il trainer, certamente”.
tratto da www.virtus.it – 27/01/2016
GIANNI VOLA IN BOREA
Piange ancora la famiglia bianconera, per la perdita di uno dei suoi alfieri degli anni Sessanta. Se ne è andato a 76 anni (li avrebbe compiuti tra una settimana) Augusto Gianni Giomo, playmaker bianconero dal 1962 al 1968.
Classe 1940, marca trevigiana pura, Gianni Giomo era uno avanti, capace di gestire la squadra in campo e poi farlo, una volta chiuso col basket giocato, dalla panchina. Regista purissimo, arrivò a Bologna dopo una stagione all’Olimpia Milano (1959-60), nel 1962, e ci restò sei stagioni, fino al 1968. Guidato da Edo Kucharski, poi da Alesini e infine da Jaroslav Sip. Curiosamente, visse ben due periodi della Virtus “non bianconera”: quando l’abbinamento Knorr la portò in campo in canotta gialla e calzoncini verdi, e poi con il rosso-azzurro dello sponsor Candy. In tutto, 131 presenze e 647 punti con la V nera sul petto, ma anche 50 presenze e due Olimpiadi (1960 e 1964) con i colori dell’Italia.
La miglior definizione di Giomo giocatore, la più brillante e incisiva, è probabilmente quella di Gianfranco Civolani, che così lo descriveva su Giganti del Basket, quando era ormai in fondo alla sua carriera: “Mi ricorda l’immagine del dispensatore di luce. Capita che una squadra possa arrancare alla brava. Lui arriva, amministra un po’ di palle ai compagni, dà il ritmo, come fosse una batteria in un’orchestra d’archi. La faccio corta: Gianni Giomo si fa due Olimpiadi e un po’ di campionati del Mondo. Altezza uno e ottantacinque, buon piazzato, discreta entrata, eccellenti attitudini difensive, stupenda inclinazione alla regia”.
Il tempo di laurearsi in chimica (un’altra laurea, in fisica, sarebbe arrivata qualche anno più tardi) e mettersi lui, che aveva una grande visione del gioco, in panchina a gestire uomini. Allenatore diverso e moderno, studioso di tecniche legate anche alla musica applicata alla pallacanestro (e divenuto infatti successivamente un apprezzato mental coach), iniziò la carriera di tecnico a Mestre, portando anche nel 1973/74 la Duco in Serie A, e soprattutto indicando la strada a un giovane Renato Villalta, di cui fu maestro e mentore. Poi l’esperienza alla Auxilium Torino, con una finale di Korac nel 1975-76, e due lunghi periodi a Montebelluna (dall’80 all’83, con una promozione in A sfiorata, e dall’89 al 92).
Ruggero Alcanterini

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