“Canto le armi e l’uomo che, profugo per volere del fato, venne per primo dalle coste di Troia alle spiagge di Lavinio, in Italia. Fu a lungo tormentato, per terra e per mare, dalla potenza degli dei e dell’ira spietata di Giunone. Ebbe molto a patire anche in guerra, ma infine fondò una città e stabilì nel Lazio i Penati di Troia, origine della razza latina e di Roma superba.” Così si esprime il sommo Virgilio nel primo canto dell’Eneide, ma abbiamo la sensazione che la storia corra il rischio di essere riscritta o comunque stravolta nella sua rappresentazione più carismatica per colpa di noi stessi, che ne siamo immeritevoli protagonisti. Facciamo riferimento all’azione masochista che negli ultimi venticinque anni ha danneggiato, in alcuni casi in modo irreversibile, la nostra straordinaria bellezza. Parliamo dei beni ambientali e culturali, del decoro urbano, della sicurezza, della mobilità, del lavoro, della salute, della scuola, dell’attività motoria e per conseguenza della salute e della qualità della vita.
Avevamo già scritto che il nostro ottimismo è determinato dalla volontà di raggiungere obiettivi dichiarati di comune interesse e tra questi quello dello sviluppo, sino al raggiungimento almeno di una sensazione diffusa di benessere. Per questo, abbiamo da subito dichiarato la nostra ambizione di fungere da stimolo e da sostegno, piuttosto che da critici senza proposte alternative o integrative, o peggio da puri detrattori. Per questo, prima di passare alle suggestioni, che a taluni paiono oniriche e ad altri sorprendenti, tanto sembrano distanti dalla realtà apparente supinamente accettata, dobbiamo fare ricorso al metodo della denuncia, al dovere di cronaca, partendo da un assunto, ovvero che nessuno, ma proprio nessuno ha il diritto di calpestare l’immagine di una collettività, che è riflessa nelle strade, nelle piazze, nelle spiagge, nel mare, nei fossi, nei giardini, sui muri, sui vagoni dei treni. Insomma, avvertiamo la necessità di difendere il nostro decoro in ogni dove e tanto più nei luoghi deputati della nostra appartenenza, delle nostre radici, dei nostri padri nobili. E ci riferiamo alle ignobili assurde situazioni in cui si sono venute a trovare aree, il cui rispetto dovrebbe essere al di sopra di ogni discussione e vincolate alla custodia delle comunità territoriali, che tutte insieme si richiamano al mito di Enea, di virgiliana memoria. Ci riferiamo anzitutto alla paradossale situazione in cui si trovano gli scavi di Castrum Inui e alla mefitica discarica che ne ingombra l’ingresso, di cui vi diamo notizia e documentazione in altra parte di questo numero dell’Eco del Litorale. Stesso ragionamento vale per Torre Astura, dove squadre di volontari stanno intervenendo per ridurre la presenza del pattume, ma anche di elettrodomestici ed altri materiali che andrebbero indirizzati alle isole ecologiche.
Per completare il ragionamento su cosa e come si debba fare, per evitare un disastro annunciato e in parte avvenuto, per non arrivare alle estreme conseguenze, equivalenti ad una damnazio memoriae nell’immaginario collettivo, come sta avvenendo per Roma e molte altre parti d’Italia, sfregiate senza rimedio e sbattute in prima pagina dai principali media del mondo, bisogna far diventare la pulizia e il decoro urbano una questione prioritaria, sotto la diretta vigilanza e collaborazione dei cittadini, che non intendono subire la prevaricazione criminogena di chi non rispetta le regole più elementari della convivenza civile e le infrange proditoriamente, avvalendosi del comportamento sostanzialmente omertoso di una parte della collettività. Quindi, invitiamo i cittadini alla denuncia, anche attraverso il nostro Giornale e ad un comportamento attivo per la bonifica delle aree degradate. Per concludere su questo sgradevole argomento, avanziamo l’ipotesi che l’Eco del Litorale, con l’ Eco delle Periferie ed altri soggetti associativi, costituisca una rete di monitoraggio permanente e promuova azioni di risanamento mirate e condivise con le comunità locali della nostra Pentapoli (Nettuno, Anzio, Aprilia, Pomezia, Ardea) con il preciso fondamentale obiettivo di difendere il nostro Genius Loci di vocazione virgiliana.
E per rimanere in tema, non possiamo non ricordare di un altro “virtuale” ritorno a casa, a Nettuno e comunque in quella che fu l’antica Antium, della statua colossale di Poseidon, alta m. 2,16 , che fu ritrovata a Porto d’Anzio nel 1824, acquistata da Pio IX nel 1828, restaurata da Antonio d’Este, trasferita a Roma nel 1841. Dopo la caduta della Repubblica Romana, a lungo in sosta nei magazzini, fu finalmente esposta nel Museo Lateranense dal 1878. La statua in marmo italico, rinvenuta tra le rovine della nostra Costa, dov’era appunto il maestoso Tempio di Nettuno, copia romana del capolavoro bronzeo di Lisippo, che vigilava il molo dell’antico porto di Corinto – pur ritenuta un caposaldo della storia dell’arte antica – è attualmente confinata in un angolo disadorno del Museo Gregoriano Profano in Vaticano, costretta a sorvegliare un giardino, piuttosto che a rimirare il Mare Nostrum, di cui una volta Nettuno era l’indiscusso signore. Il nostro gigante barbuto, dopo aver stazionato a lungo nei Palazzi Laterani, fu trasferito con molte altre opere oltre Tevere, da Giovanni XXIII e Paolo VI. A tal riguardo, abbiamo la soddisfazione di proporvi due “selfie” appena fatti per noi da Poseidon e una sua tipica foto ottocentesca al cromo, che lo ritraeva curiosamente “attrezzato” con un tridente posticcio, per suggestionare straordinari visitatori, come gli stessi viaggiatori del Grand Tour, che facevano di Roma una meta ambita
Con questo assunto, torniamo al nostro sommo mentore, a Virgilio (Eneide, canto VIII): “Se Roma è opera vostra e milizie troiane occuparono il lido etrusco, impegnate a mutare città, casa, solcando in salvo il mare; se, scampato alla strage, il pio Enea aprì ai suoi un varco che potesse salvarli in mezzo alle fiamme di Troia, per donargli di più; o dei, date virtù ai nostri giovani, date dolce riposo alla vecchiaia e alla gente di Romolo potenza, figli e tutta la gloria. E ciò che vi chiede con tori bianchi il sangue puro di Anchise e di Venere, forte col nemico e mite con i vinti, fate voi che l’ottenga. Ormai per terra e mare i parti temono l’arte del suo braccio e le scuri albane; ormai la superbia di sciti e indiani attende la sentenza. Fede, pace, onore e pudore antico, la virtù smarrita osano ora tornare e lieta appare l’abbondanza col suo corno ricolmo…”.
Ruggero Alcanterini
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