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Tasche vuote, tasche piene

Ecco, la riflessione nasce davvero spontanea: ma non è ora di finirla con la fiera dell’ipocrisia ? Com’è possibile continuare a teorizzare da destra, come da sinistra, che la soluzione della catastrofe migratoria sta nel respingimento in porti sicuri libici, piuttosto che nella pelosa accoglienza italica o in quella diffusa in una parte dell’Europa. Il problema è a monte ed è storico, consolidato, incancrenito dalle demenziali azioni di chi ha distrutto gli equilibri africani, per interessi vergognosi, contrabbandati come un sostegno ad una ipotetica giovane democrazia. Ed a proposito di democrazia, cosa pensate che sia percepibile al centro, quello scomparso, un tempo democristiano o nella vecchia sinistra come quella ancora rappresentata da combattenti e reduci di quelli che furono i veri socialisti , prima turatiani e poi nenniani, piuttosto che dagli eredi nostalgici di quel che fu movimento sociale di almirantiana memoria? Macché, ce la smazziamo con il buon senso comune che ci porta a virare ed orientare con progressione geometrica il consenso ed il potere di governo verso chi, senza freni inibitori congeniti, fa uno più uno, due. E’ disarmante, ma è così, con tutte le conseguenze del caso. Viviamo in un Paese in cui ormai fare il sindaco equivale a guidare la moto senza casco e se per caso i ladri ti entrano in casa, devi essere gentile con bel “welcome” e con un enfatico “thanks!” a fine razzia. Un Paese dove le sentenze si rispettano e dove se prima ti sballano e poi ti stuprano in gruppo, i giudici applicano le attenuanti ai tuoi carnefici. Un Paese in cui i beni confiscati alla criminalità vengono lasciati abbandonati alle mercé degli sciacalli, salvo assegnarli alla collettività una volta distrutti . Un Paese vocato al masochismo, afflitto alternativamente da incendi e alluvioni, dissesti e disastri idrogeologici annunciati, per pura insipienza e indifferenza al concetto di programmazione e prevenzione. Un Paese dove i vulcani sono una grazia di dio ed i terremoti una manna dal cielo, con cui si convive e da cui non ci si difende con cautela, ma ci si offre confidando nella buona sorte e nella clemenza appunto degli dei. Un Paese in cui la compagnia di bandiera aerea e le ferrovie dello Stato rischiano il declassamento per ragioni di economia, come la Guardia Forestale e di Finanza, perché ce lo chiede l’Europa, fregandocene delle conseguenze sul nostro complicato sistema territoriale e sociale. Un Paese in cui si sopprimono le unità ospedaliere ed i medici si riposano nel weekend, mentre patologie e pazienti li attendono pazientemente, rassegnati ed onerosi, a rischio nei nosocomi. Un Paese in cui la burocrazia esasperata ed esasperante rallenta e blocca, ruba la vita a chi tenta di operare e intraprendere, salvo le sentenze non sempre a proposito dei TAR . Un Paese in cui tutti parlano dei privilegi degli altri, senza goderne di propri, in cui la giustizia è bradipesca, ma può anche essere un fulmine di guerra ed assolutamente a tempo, dipendente come indipendente da ogni cosa, da notizie come da intuizioni e teorie, parametro ottimale per la lotta contro i privilegi e per lo stesso appannaggio riservato al Presidente della Repubblica. Un Paese in cui il Presidente della Repubblica viene rispettato come figura garante, ma non è espressione diretta della volontà popolare, ma è piuttosto frutto del compromesso tra le parti politiche, che spesso non sopravvivono alla sua elezione. Un Paese in cui i burosauri, i califfi, i manager pubblici sono difficilmente in sintonia con i governi, che si avvicendano, creando dilaceranti disarmonie e complicanze demenziali per il sistema delle funzioni, come capita ai livelli regionali e territoriali tra gli amministratori eletti e i dirigenti, senza il cui consenso e firma nulla è possibile e da cui i tempi biblici per il funzionamento della pubblica amministrazione. Un Paese in cui l’azienda di Stato delle radiotelecomunicazioni è sottoposta a vigilanza parlamentare, ma è da sempre libera di cooptare una quantità mostruosa di raccomandati non necessariamente del massimo livello professionale, salvo avvalersi del canone obbligatorio, fornire programmi originali e in diretta soltanto per una parte dell’anno ed avvalersi di produzioni esterne, piuttosto che di precari e format acquistati sul mercato internazionale, salvo imbonire i cittadini italiani con quiz, ciarpame vario e pubblicità proprio nelle ore di maggiore fruizione. Un Paese, in cui qualcuno ancora crede alla befana e spera che, dopo le visite di Minniti e Salvini, la Libia torni ad essere quella unificata “manu militari” e con i coloni, nella prima metà del secolo scorso , da Giolitti a Mussolini e dai governatori Amelio e Balbo, passando per il pugno di ferro di Graziani… Un Paese che è da sempre destinazione predestinata dei traffici , delle scorrerie e delle trasmigrazioni per via della sua posizione geografica nel Mediterraneo, ora imbrigliato nella trappola insidiosa, ipocrita e leguleia che è divenuta l’Europa dell’Euro e degli egoismi, quelli nazionali che non hanno riguardi, né fanno sconti, ma giocano permanentemente la partita delle prevaricazioni, come quella che, condotta con barbaro cinismo da Sarkozy, nel 2011, ha portato la Francia ad essere la principale responsabile della catastrofe umanitaria, politica ed economica, che siamo oggi costretti a subire. Un Paese che sprofonda tra buche e pattume, che si asfissia, si ammala e imbruttisce per i siti tossici ed i fuochi, per l’amianto che lo infarcisce ogni dove e per la vegetazione inselvatichita. Un Paese che vive di promesse ed elargizioni miserevoli, dove la meritocrazia viene mortificata. Un Paese dove le disabilità e l’assistenza agli anziani costituiscono l’incompresa emergenza di una società che invecchia senza appello . Un Paese che considera da settant’anni l’attività motoria nella scuola primaria un problema di bilancio e non una priorità educativa e di prevenzione salute. Un Paese che in venticinque anni, dal 1993, per ripulire mani e coscienze, per trasformare la lira in euro, ha svuotato progressivamente le tasche dei cittadini, sostituendo lavoro, welfare, stipendi, pensioni e risparmi, con disoccupazione, precariato, abbandono e povertà. Un Paese le cui tasche sono ormai vuote e pur piene, ma di delusioni e amarezza, di rabbia e voglia di cambiamento.

Ruggero Alcanterini

Direttore responsabile de L’Eco del Litorale

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