Ma ci vogliamo rendere conto o no che il calcio delle Coppe, come quello di alta Serie, A o B, è pura intrapresa dello spettacolo e che risponde ad una logica industriale, nonché del commercio? Allora, care ragazzi e ragazze non fatene una malattia, se la quadra del cuore non è andata a rete e vi ha dato buca. State tranquilli che tutto risponde ad una regola che poco ha che fare con ideali e bandiere, ma molto con il portafoglio dell’azionista. D’altra parte, senza lo stereo-tifo nelle tribune, tutto si riduce ad una telenovela. Dunque dopo l’imbiancata per i lupi della Roma, stessa solfa anche per le volpi juventine. Ma non ci distraiamo dalla vera questione sul tappeto, che è quella della gestazione dei Decreti Attuativi per la Legge Delega sullo Sport. Una per tutte, l’alea del tetto sul numero dei mandati per i Presidenti federali e del Comitato Olimpico ha avuto forza di spaccare la maggioranza politica e di ricompattare il Consiglio Nazionale al Foro Italico, rievocando possibili azioni sanzionatorie del CIO nei confronti delle italiche ambizioni di riforma. Quel che capita al Ministro Spadafora, mi ricorda qualcosa che con sfumature diverse capitò a predecessori, come Melandri, Carraro, Lagorio, Signorello… Avevano ragione i precursori, quelli che come Brodolini, negli anni sessanta, dopo aver riscoperto il grande ruolo economico e sociale dello sport con l’organizzazione dei XVII Giochi Olimpici a Roma, proponevano un modello in cui la divisione delle competenze tra lo Stato e il CONI fosse netta: da una parte il sociale e dall’altra il professionismo, l’alto livello e l’olimpismo. E per i quattrini? No problem, allora con l’autofinanziamento del Totocalcio, regolato attraverso la Legge Fifty-fifty ed oggi con finanziamento diretto pubblico. Per chiudere la partita, basterebbe raddoppiare l’attuale budget, portarlo ad un miliardo e dividerlo tra Sport e Salute/Sport per Tutti e CONI/Sport Federale, lasciando all’autonomia dell’associazionismo la soluzione delle rogne vessatorie, che oggi riguardano la maggioranza delle organizzazioni. Il Governo, con l’ultimo assestamento di Bilancio, ha aggiunto cento miliardi al debito consolidato, già stratosferico. Ma, allora, perché non dedicare appena cinquecento milioni all’incremento di una sana e gioiosa attività fisica che farebbe degli italiani un popolo diverso? Ma forse, non è questione di valsente. Forse si tratta di altro, di qualcosa di indefinibile e inconfessabile, che puntualmente si alza come sabbia, piuttosto che nebbia, tanto per sport.
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