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STRETTA LA FOGLIA, LARGA LA VIA …

22 aprile 2017
Discobolo – STADIO DEI MARMI – particolare

Ieri, sono andato al Premio Città di Roma e nel tentativo di trovare una scorciatoia tra i “Marmi” e la Piscina Coperta, sono rimasto intrappolato come un sorcio tra cancellate tutte rigorosamente bianche, ma assolutamente invalicabili: una sensazione di disagio tremenda per chi come me ha conosciuto il Foro Italico nella sua smagliante bellezza e libertà di spazi, la sua prerogativa violentata per cause di forza maggiore. Dovete sapere che, nato nel 1941 e abitante nei pressi del Foro, quando ancora tutti lo conoscevano come “Mussolini”, io andavo a fare la “guerra dei bottoni” e iniziavo le mie prime corse tra la Casa delle Armi e lo Stadio dei Marmi, andando a sbirciare ogni tanto la “Venere”, che ignuda se ne stava sola soletta tra i cespugli di fronte allo Stadio del Tennis. Gli Americani, che nel 1944 avevano istallato il loro quartier generale in quella oasi sportiva sotto Monte Mario e il comando proprio nella sede della ex Accademia di Educazione Fisica, oggi Palazzo “H”, sede del CONI e dello IUSM, avevano evitato la distruzione di quello che oggi è un unicum della storia dell’architettura e dello sport del Novecento nel mondo, sede elettiva della XVII Olimpiade nel 1960. Gli stessi Americani coprirono il grande dipinto di Luigi Montanarini, “l’Apoteosi del Fascismo”, che campeggiava e campeggia su uno dei due lati corti del Salone d’Onore, di fronte al “Trionfo di Cesare Augusto” (sempre di Montanarini) e le grandi scene ginniche dipinte sui lati lunghi da Angelo Canevari. Nel 1950, il Palazzo H divenne albergo per il pellegrini dell’Anno Santo e soltanto dal 1952 sede del CONI. Dunque, già dal 1944, la scena madre della storia fascista al Foro Italico era celata, ma salva, dietro un enorme panneggio verde. All’inizio degli anni settanta si fecero dei lavori nel Salone e il titolare dell’impresa si limitò a mettermi una pulce nell’orecchio. Soltanto nel marzo del 1996, in occasione di un altro intervento manutentivo, trovai per caso una porta aperta: gli operai avevano completamente disvelato la parete misteriosa e nella penombra mi trovai di fronte all’incredibile, alla conferma della verità storica, anticipatami con una “soffiata” quindici anni prima. Lui, il Duce, svettava sui gerarchi, circondato dai “fasci di combattimento”, si rivolgeva ad una moltitudine di vivi e di morti, assembrati in una sorta di giudizio universale, me compreso, allibito, senza parole. Sembrava proprio che lui, l’antico titolare del Palazzo e del Foro, reclamasse per il torto subito da oltre mezzo secolo e che chiedesse giustizia a noi sportivi, fruitori irriconoscenti dell’eredità. Io, mio malgrado, da giornalista, mi sentii in dovere di dare una risposta. Mi misi alla macchina da scrivere e buttai giù un pezzo per “Presenza Nuova”, il mensile dell’AICS, di cui avevo assunto la direzione responsabile. Il titolo, “La foglia di fico del CONI”, fece colpo e il “Corriere dello Sport” riprese con enfasi la notizia, con grande sorpresa del Presidente Pescante e del Ministro per i Beni Culturali, con delega allo Sport, Veltroni. Di li a poco arrivarono al Palazzo gli ispettori ministeriali e della sovraintendenza. In base al rapporto, Veltroni, che era anche il vice di Prodi alla PCM, dispose l’immediato restauro e la restituzione al mondo dell’opera di Montanarini, che nel 1997 era ancora vivo e che, interdetto da tanto clamore, affermò: ” Non ho mai dato un significato eccessivo a quest’opera, avevo pensato di mantenerla nell’anonimato o di firmarla provocatoriamente con il nome del mio portinaio!”. Esattamente quello che avevano fatto gli organizzatori del Premio “Oscar” a Los Angeles… Oggi la situazione di degrado è avvilente. Credo siano eloquenti le foto che aggiungo sullo splendore originario dell’obelisco e attuale del Palazzo MAE, mentre appaiono tragiche le situazioni di pietre miliari dell’architettura, come la Casa delle Armi e l’Ostello di Luigi Moretti: addirittura, la palizzata in acciaio, che ancora protegge l’ ex aula bunker su viale dei gladiatori, funge da velo pietoso, coprendo abbandono e devastazione. Infine, il mosaico policromo, realizzato sulla parete esterna, lato viale delle Olimpiadi, su disegno dello stesso Moretti, sta perdendo le sue tessere in pasta vitrea nella parte bassa. All’interno, salvo la grande sala palestra e gli uffici, recuperati, sono ancora in essere le celle, con graffiti autografi dei detenuti e perfino materiali d’archivio e rifiuti derivanti dall’attività giudiziaria, in attesa di rimozione…

Ruggero Alcanterini

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