Come avrete capito, noi ragazzi di fair play, abbiamo una filosofia di vita essenziale, legata al divenire rossiniano con quel che capita, lasciandoci andare, magari nella millenaria confidenziale corrente del Dio Tevere e sostare sulla flaminia sponda sinistra, tra i quasi centenari del Circolo Canottieri Roma, in compagnia di un uomo “illuminato” come Storaro. E sì, perché ieri l’immaginifico del reale, il suggeritore del surreale e l’alchimista alla ricerca dell’immagine filosofale , di nome Vittorio, si sono dati appuntamento nella sala onusta di sudore gloria, affollata da aitanti vogatori senza tempo e da sognatori alla ricerca continua dell’ispirazione madre. Dunque, la storia di Storaro, nato quando il Foro Italico era Mussolini ed era nuovo di pacca, senza il Ponte della Musica ad unire le sponde del Fiume, immaginato da un altro visionario come Del Debbio, ma realizzato soltanto nel terzo millennio, una storia narrata senza punti e virgole, ma con molti esclamativi e interrogativi, tra cui opere superlative, degne di tre premi Oscar, come Apocalypse Now, Reds e L’ultimo imperatore. Dunque, Storaro in vena di svelare i segreti del suo successo, impegnato nel raddoppiare il racconto delle sue doppie immagini, tormentato dall’idea che qualcosa ancora gli sfugga di quel suo assolutamente sregolato e supergeniale predecessore, tale Michelangelo Merisi da Caravaggio, cui lui si è ispirato e si ispira nella infinita ricerca della luce nel buio. E quindi, nel conflitto assoluto, nel contrasto senza pari, che tende a squarciare le tenebre, come ci possiamo entrare noi poveri mortali ? La risposta ci è venuta proprio dalla storia di Storaro, dalla sua enunciazione autobiografica senza omissioni e qualche peccato giovanile di presunzione, come a noi tutti è capitato, ma con un imperativo di fondo, come quello di impegnarsi sempre nel dare il massimo, di prepararsi senza remore e infingimenti alle prove della vita, di spingersi sempre oltre i confini del dovuto e non ritenersi mai soddisfatti, di abbeverarsi senza tregua alla fonte della cultura universale per mitigare l’inesauribile arsura, la sete della conoscenza. Quindi, per concludere, certi che nel prossimo futuro la narrazione policroma e luminosa del nostro Storaro non mancherà di contaminare e di esaltare maggiormente gli stessi valori del fair play, di riverberarsi sul concetto di sport, possiamo intendere che sicuramente il caos è presupposto di vita, un concetto, un paradosso che ci sentiamo di condividere con chi ben sa che in fondo c’è sempre la luce.
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