Adesso, che sono abbastanza avanti, mi sento di dirvi che se lo sport è vita, la vita può e deve essere sport. E vengo al dunque, perché, se tra gli argomenti in discussione per via dell’emergenza da COVID 19, c’è quello del fermo definitivo o meno di Campionati e Coppe del calcio per il 2019-2020, del rinvio del Giro d’Italia e delle Olimpiadi, piuttosto che la riapertura delle strutture in sofferenza gestionale, quindi di un importante aggregato nell’economia più complessiva, che coinvolge posti di lavoro ed oggi in pesante crisi, dall’altra parte, a fronte della pandemia incombente, si va consolidando il dato oggettivo dello sport come sano stile di vita, a prescindere. Ecco, che se il concetto per cui non tutti i mali vengono per nuocere ha un senso, in questo caso, la forzata pausa di riflessione sta facendo emergere quel che per troppo tempo è stato cocciutamente rimosso dalla priorità di un’azione di Governo, dalla comunicazione dei media istituzionali e commerciali, dalle attenzioni economiche degli operatori di marketing, quindi da sponsor privati e finanche da organismi con finalità pubbliche e prossimità territoriale. Mi sento di affermare questo, perché adesso che le tribune sono inibite e lo spettacolo è fermo, emerge d’incanto, dall’opalescenza, la realtà impattante, dirompente dell’immane folla dei praticanti per diletto, degli emancipati utenti dell’attività motoria, che da sempre si autoassolve da problematiche organizzative ed economiche, senza minimamente incidere su bilanci pubblici e federali, anzi costituisce quella platea ideale e sostanziale del mercato, di cui concretamente si avvalgono le aziende produttrici del settore e non solo. Le attività dei protagonisti di quello che io amo definire un fenomeno socioculturale spontaneo ed indipendente, lo sport di mezzo, non dipendono da nessuno, se non dalle persone che in progressione geometrica hanno scoperto e vanno scoprendo la grande bellezza dello sport per spontanea scelta, libero da vincoli ed orpelli. Quella miriade di umani diversamente conciati ed assettati, che è stata ricacciata a fatica nelle case un mese fa e che tornerà inesorabilmente a produrre uno tsunami gioioso e rassicurante di presenze ovunque, dalle strade, ai parchi, alle spiagge, sulle montagne, dai borghi alle metropoli, deve e dovrà essere il destinatario della massima attenzione da parte di chi ha ruolo, perché, nella sua naturale libertà, il diporto raccomandato da Giovanni Boccaccio e il principio “Mens sana in corpore sano”, affermato da Decimo Giunio Giovenale, vadano sempre più d’accordo, nella logica di una giusta tutela e della promozione dello sport, come cultura della prevenzione salute. Per cui, tornino pure in scena Giochi, Campionati e Tornei miliardari a tempo debito, pagando purtroppo il dazio che a tutti impone il COVID 19, ma che si capisca, una volta per tutte, che le discipline e l’organizzazione dello sport, il supporto della comunicazione mediatica devono prendere atto di un inesorabile epocale ed irreversibile cambiamento in corso. Il distanziamento sociale imposto dalla consapevolezza dei rischi da contatto spingerà sempre più a scegliere di stare in campo aperto, piuttosto che in tribuna, ad essere protagonisti, piuttosto che spettatori passivi delle altrui gesta. Che cosa ci volete fare, del resto questo era scritto, era la conquista auspicata, la meta agognata per i disagiati e dalla stessa classe operaia, quando a metà Ottocento con Don Gnocchi e Don Bosco prima, il Congresso Operaio di Asti e le Società Operaie a Vigevano si erano create le premesse per quel che si sarebbe generato all’alba del Novecento, in parallelo con il movimento olimpico, immaginando le attività sportive, en plein air e nel tempo di non lavoro, come vere e proprie opportunità emancipatorie, con l’ Audax, la UOEI di Leonida Bissolati, l’Umanitaria e quindi con la nascita del Movimento internazionale dello sport del lavoro (attuale CSIT) a Gand, nel 1913. La stampa sportiva, dal Ciclista e la Tripletta, poi Gazzetta dello Sport, a TuttoSport, al Guerin Sportivo era orientata sull’intero arco delle attività ludiche ed agonistiche con prevalente matrice popolare e gli stessi mitici protagonisti, da Airoldi a Pietri, erano espressione del mondo operaio e non di una ristretta élite. Infine, per capirci, proviamo ad immaginare il nostro percorso di vita come una meravigliosa corsa, unica e irripetibile, un divenire disseminato di ostacoli, quelli che abbiamo superato e quelli che saremo costretti a saltare, prima di giungere al traguardo, comunque vittoriosi.
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