Ieri, durante l’incontro del Ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, con le Associazioni Benemerite, il primo nella storia repubblicana, ho avvertito d’improvviso l’alitare d’un antico refolo di vento, quasi l’alzarsi di d’un polveroso velo del tempo… E tutto avviene forse non per caso e non inutilmente nella straordinarietà dell’emergenza. Rovistavo da giorni nella mia sub memoria, negli strati più profondi, quelli sedimentati per sensazioni, quelli archiviati nell’anima. E così, gira che ti rigira, mi sono ricordato di un amico, una persona davvero straordinaria che era comparsa sul mio orizzonte per via della costituente AICS, in cui ero stato coinvolto dal padre putativo, Probo Zamagni. E così mi sono tornate in mente le tribolazioni di una rinascente organizzazione socialista, erede delle ASSI di Attilio Maffi e dell’UCSI di Matteo Matteotti, che nel CSI di Aldo Notario e di Mario Saverio Cozzoli aveva trovato una salvifica sinergia all’inizio di quegli anni sessanta, in cui occorreva costruire – pietra su pietra – quella idea di promozione sportiva, che era prossima alla pratica come opportunità di salute e di sano impiego del tempo libero, più di quanto non ne siano interpreti oggi molte entità irrimediabilmente spiaggiate su di una deriva meramente consumistica, mentre il Terzo Millennio si profila evocativo di un concetto essenziale, quello che lo sport come profilassi della salute non può che essere un diritto, piuttosto che una opportunità. Allora, gli Enti di Propaganda Sportiva, anche grazie alle illuminate aperture da parte di Giulio Onesti, concorsero prima alla Legge “Fifty Fifty” (1965) sui proventi del Totocalcio, firmata da Giacomo Brodolini e poi al decollo dei Centri Olimpia come base propedeutica e d’appoggio ai Giochi della Gioventù, che furono il momento più alto d’intesa, tra l’espressione territoriale della società civile e il mondo dello sport. La figura di Mario Saverio Cozzoli, un quadro cattolico, economista, con una visione chiara del contesto laico, consigliere nazionale nel CSI e responsabile per le attività del tempo libero e in particolare dello sport nella D.C., poi partecipe delle attività di riesame della legislazione sportiva, tra gli anni sessanta e ottanta, come quella di Aldo Notario, di Enrico Guabello, Cesare Bensi, di Gianni Usvardi, fa parte di una storia che rischierebbe di rimanere nella obsolescenza generata dalla ridondanza dell’epica e di non lasciare il giusto segno, se qualcuno oggi non si facesse carico di riprendere i capi di quei fili che caddero aggrovigliati tra le carte della Convenzione Nazionale dell’Associazionismo, organizzata il 24 – 25 febbraio del 1989, in quel di Verona, quando Brodolini, Onesti e Guabello erano ormai passati da anni in Borea e per Notario ed Usvardi, dopo aver superato le tappe di una invocata riforma dello sport con Signorello, Lagorio e Carraro, suonava la campana di un ultimo giro senza traguardo. Di fatto la posta in gioco dei Campionati del Mondo di Calcio 1990 era talmente soverchiante, che su quell’altare si sacrificarono progetti, ideali e teste pensanti, comprese quelle dei riformisti. Oggi, sembra quasi che il tempo, una parentesi di trent’anni in cui si è continuato a pestare acqua nel mortaio, non sia passato, che si possa riprendere quel percorso, con non poca fatica già tracciato dalla storia, come via ineludibile, qualsiasi altra cosa accada.
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