Ci sono dei momenti in cui ti chiedi che senso abbia la tua vita e magari quella degli altri che hanno condiviso con te storia ed esperienze, quale sia stato il nesso, tra tante situazioni, scelte, emozioni, slanci, speranze, intraprese, delusioni, intuizioni, vittorie e sconfitte… Si tratta di una folla di sensazioni o meglio di una follia di ricordi senza un particolare perché, di un ordine razionale, senza cronologia, ma pregnante e pressante nelle meningi e nel cuore. E ti torna il vaporoso ansimare a fine gara, poggiato a quella staccionata umida del Galoppatoio a Villa Borghese, ornata dai panni delle giovani “Speranze”, che con te avevano corso per la preziosa “Coppa” scaturita da una visione, quella onirica di un missionario dell’atletica leggera, Alfredo Berra. Ecco, che adolescente ti trovi a condividere l’intrapresa complessa e straordinariamente importante, che nasce da un mondo davvero particolare, diverso, unico com’è quello dell’atletica. Sei protagonista di qualcosa di grande tanto quanto il divenire dell’umanità, che in corsa ha traguardato la sua storia millenaria con i mentori di una sorta di filosofia o se preferite i profeti, che non vestono tuniche e mantelli, ma sdruciti soprabiti e vecchi cappelli. Nella sbiadita, ma dolce memoria dell’agone romano, tra quella moltitudine di giovani cursori , nuovi e vecchi professori di educazione fisica, di temprati promotori del podismo di quartiere, c’erano quelli che in mutande o con megafoni e fischietti davano vita alla rinascenza di un movimento, che si sarebbe identificato con l’Italia della crescita e dello sviluppo, degli anni a cavallo dei XVII Giochi Olimpici, da cui sarebbero scaturite le mille opzioni in buona parte colte dalla società civile, attraverso lo sport. L’atletica di Zauli e di Berra, fortemente radicata nella scuola tramite la rete dei Gruppi Sportivi, era formidabile, soprattutto per la capacità di generare e formare non soltanto atleti, ma anche e soprattutto quadri di carattere, nelle più diverse declinazioni, indispensabili per la costruzione di un sistema, di una presenza qualificante nella trama di un tessuto di cui la nostra collettività si è ammantata, ha beneficiato, almeno sino alla fine del secolo scorso. Si tratta di quella che voglio chiamare “atletica di mezzo”, ovverossia quel fil rouge o se preferite il filo rosso del destino che, senza stravolgere tonalità tra altri colori, ha di fatto determinato tali concretezze da farci capire, oggi, quanto fossero importanti quelle incredibili sinergie tra le scuole, i quartieri e la provincia, tra l’agro e il mare, la comunicazione, l’arte, la scienza e la politica, indipendentemente dal valsente disponibile, in genere scarso e generato da “pagherò”. Se si ha il coraggio di tornare un po’ indietro, ci si accorge che, quanto avvenne nella seconda metà degli anni sessanta con la nascita e l’affermazione del Rinnovamento, non fu altro che la naturale imperativa conseguenza di quella appassionata e generosa seminagione compiuta dall’inizio degli anni cinquanta ed alla saldatura con la concezione ambiziosa e disinibita, che Primo Nebiolo aveva del rapporto con lo sport, prima universitario e poi atletico-centrico. Infine, appunto, la materializzazione complessiva del progetto senza confini, che riguardava l’atletica italiana, come motrice trainante dell’intero aire sportivo, non soltanto nazionale e non autoreferenziale, ma proiettato in un contesto ben più ampio. Bisogna rendersi conto che all’inizio degli anni settanta furono subito cantierizzati i Campionati Europei a Roma (1974), la presa della presidenza europea (EAA) e quindi la scalata a quella della IAAF (1981) contestuale alla organizzazione della Coppa del Mondo. Frutto dell’ambizione e di un grande lavoro di squadra, il Presidente dell’atletica italiana, nemo profeta in patria, diveniva vice presidente, ma non presidente del CONI, Presidente della ASOIF ( Association of Summer Olympic International Federations ) e Membro strategico del CIO, partner di Samaranch nel superamento delle crisi olimpiche da “guerra fredda”. Si andava quindi su di un percorso in permanente salita di livello, a completare un ventennale crescendo “rossiniano”, che si concluse con i Giochi di Seul nel 1988, avendo subito teatralmente uno straordinario successo e una incredibile negativa trasmutazione nel 1987, con l’organizzazione della seconda edizione dei Campionati del Mondo, record di efficienza organizzativa ed economica, bilancio agonistico con un medagliere azzurro senza precedenti, ma con un finale giallo e catartico. Si potrebbe dire di aver vissuto davvero qualcosa fuori dell’ordinario , la metafora della parabola di un periodo di storia compreso tra le fasi ascendenti e discendenti, ma io vado oltre, per dire che, comunque lo si voglia giudicare, quanto avvenuto e fisicamente vissuto insieme a migliaia di fantastici co-attori, la risultanza complessiva, il bilancio visto da ogni angolazione risulta comunque ampiamente positivo e significante di una formula che valeva e varrebbe comunque la pena di adottare, quella che è riuscita a dare, in un arco relativamente breve di tempo, risposte e motivazioni forti anche al senso della vita di chi pensa di aver condiviso nel bene o nel male una causa, quella nobile dell’atletica di mezzo.
Ruggero Alcanterini
Direttore responsabile de L’Eco del Litorale
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