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DA SISIFO A LAOCOONTE, L’ECONOMIA COVID 19 – l’editoriale del Direttore

Nonostante tutto, non riusciamo a perdere la passione per il gioco. Sì, quel gioco che a taluni pare divertente occasione per ingannare il tempo e ad altri una effimera dissipazione del tempo, valore assoluto. Peraltro, anche l’arguzia e l’ostinazione dei predestinati, come Sisifo, non risparmia l’inutile fatica del fare e disfare. Ecco, questa è l’impressione che si ricava dall’ennesimo italico Decreto suscitato dalla pandemia COVID 19, come da citazione in Gazzetta Ufficiale, nel Decreto-Legge 23 dell’otto aprile del ventesimo anno del ventunesimo secolo, riproponente la sventura, come capitò nel 1720 con la peste, nel 1820 con il colera e nel 1920 con la spagnola. Com’è naturale che sia, dunque, la secolare emergenza sanitaria finisce per determinare anche una pandemica crisi di valori, da quelli sociali a quelli economici, con riverbero violento sulle relazioni, sulle abitudini, sui consensi. Come sappiamo, di proroga in proroga, mentre l’agonia si allunga, la speranza di una pronta ripresa, della rimessa in moto prima di un collasso sistemico, si allontana sino a far temere il peggio. Questa almeno è la sensazione e se vogliamo la prospettiva in base al buon senso, senza fare violenza all’onestà intellettuale. Quindi, dovendo fare un ragionamento obiettivo, oltre che oggettivo, sui provvedimenti assunti per contrastare i danni all’economia, al lavoro ed ai meccanismi essenziali per la collettività, non possiamo che percepire il fumo, prima ancora dell’arrosto, la vaghezza di una opportunità complessa, resa complicata da troppe premesse vessatorie e inadeguata per via del combinato disposto, che non salva in modo mirato le attività strategiche con un soccorso diretto. In poche parole, qualcuno escluso, molti soggetti possono ricorrere al sostegno per agevolazioni bancarie su possibili finanziamenti nel breve, da scontarsi poi nel lungo termine connotato da un punto interrogativo, quello della ripresa che verrà, quando e come chissà. Ecco, nei trent’anni che ci separano dall’inizio della europeizzazione, dalla crescita indiscriminata del potere economico e dal deprimersi degli ideali, dalla riassegnazione di un ruolo dominante alla Germania, agevolmente riunificata e beneficiata dalla presenza della Banca Centrale sul suo territorio, il ruolo italiano ha perso via via peso, proprio per la indotta depressione del sistema politico-partitico, per la marginalizzazione progressiva di cui siamo stati oggetto. Anche non volendo essere catastrofisti, né luttuose prefiche, non possiamo esimerci dal notare come l’evolversi degli accadimenti ci veda su di un piano inclinato, protesi verso uno stato di crisi che pur era latente, ma che rischiamo si evolva in modo perverso. Insomma, se per un verso il sistema della prevenzione, della cura, del contenimento e del ripristino cincischia e indugia su scelte che non ammettono alternative alla disciplina più ferrea, garante della progressiva rimessa in libertà d’azione della popolazione sana certificata, quindi di ogni attività a partire dalla produttiva, dall’altra chi deve tutelare le risorse del Paese, pensando di far bene, sceglie la via del compromesso nel contesto europeo, obnubilando il rischio insito nel MES “leggero”, soltanto a fini sanitari, coinvolgendo ogni dissenziente, dentro e fuori del Parlamento, tra le parti sociali o comunque in causa, senza possibilità di appello, come capitò quando si decise per la nascita dell’EURO e la morte della Lira, come capitò allo stesso Laocoonte di fronte al Cavallo acheo, che faceva ingresso a Troia, stritolato con i figli tra le spire dei mostri marini inviati da Poseidone, ovvero fuor di metafora, quel che è capitato alla Grecia dal 2011, con lo sfoltimento selvaggio del suo impalco socio-economico, imposto cinicamente dalla Troika ( Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale).
«Questa è macchina contro le nostre mura innalzata,
e spierà le case, e sulla città graverà:
un inganno v’è certo. Non vi fidate, Troiani.
Sia ciò che vuole, temo i Dànai, e più quand’offrono doni.»
(Omero – Iliade)

Ruggero Alcanterini

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