Era il 15 marzo del 2011 quando a Damasco si svolse il primo corteo antigovernativo, proteste che sfociarono in una delle guerre civili più sanguinose degli ultimi decenni, che secondo diverse stime ha causato almeno mezzo milione di vittime.
Oggi, 15 marzo 2018 si entra così nell’ottavo anno che ormai vede direttamente impegnate sul campo, oltre le truppe di Damasco e le fazioni ribelli, anche potenze straniere e miliziani jihadisti di ogni provenienza.
Nel frattempo centinaia di migliaia di persone innocenti vengono uccise in una guerra che non trova una fine.
Gli scenari di guerra negli anni cambiano innumerevoli volte, così come gli schieramenti, gli equilibri e le alleanze, resta però una guerra che vede giorno dopo giorno sempre piu’ vittime e un’emergenza umanitaria allarmante.
Fino ad ora sono 13,1 milioni le persone colpite dal conflitto, 1,5 milioni di civili siriani risultano invalidità permanenti e 86.000 mutilati di gambe o braccia.
A pagare il prezzo più alto sono i bambini, i più piccoli, quelli che invece di crescere tra giochi e balocchi sono e stanno crescendo tra barili-bomba e violenza.
5,3 milioni di bambini siriani hanno bisogno di assistenza umanitaria. 170.000 minorenni vivono in zone attualmente sotto assedio. Nella zona della Ghouta orientale, il 12% dei bambini sotto i 5 anni soffre di malnutrizione acuta: il tasso più alto mai registrato dall’inizio della guerra.
2,8 milioni sono i bambini sfollati all’interno dei confini siriani, e altri 2,6 milioniquelli rifugiati nei paesi vicini Nel 2017 sono stati reclutati per combattere un numero di minorenni triplo rispetto al 2015.
Quasi 10.000 bambini e adolescenti siriani si trovano rifugiati all’estero senza familiari al seguito: molti di essi sono esposti al rischio di varie forme di sfruttamento, fra cui il lavoro minorile, a causa della mancanza di documentazione legale
Nel 2017, le Nazioni Unite hanno verificato 175 attacchi armati contro personale o infrastrutture sanitarie e scolastiche Fra i rifugiati siriani in Libano e in Giordania, l’80% delle ferite sono una conseguenza diretta della guerra.
Questi i dati dichiarati dall’Unicef.
La crisi in Siria non ha precedenti per complessità, brutalità e durata, e non può continuare ad essere affrontata com’è stato fatto finora.
E’ il momento di agire e dire basta a quello che per molti è uno dei più grandi stermini della storia del 21esimo secolo.
Nonostante i dati è difficile quantificare i morti in questi sette anni.
L’Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus), parla di quasi mezzo milione di vittime. Ancora due anni fa l’inviato speciale dell’Onu Staffan de Mistura aveva fornito una cifra intorno alle 400mila persone uccise. Undici milioni di persone sono sfollate (5,5 milioni di profughi fuori dal Paese e 6,5 all’interno) e l’economia è distrutta.
Ma ormai in pochi fanno realmente caso ai bollettini di guerra quotidiani, come il più recente che parla di almeno 20 civili uccisi nei bombardamenti governativi nella Ghouta orientale, in parte controllata da gruppi di insorti fondamentalisti, e di altri 8 morti nella regione nord-occidentale di Idlib, sotto l’influenza di formazioni ribelli e qaediste.
A questi numeri sconvolgenti si aggiungono 6,5 milioni di siriani vittime di insicurezza alimentare, denuncia il Programma alimentare mondiale (Wfp).
Dall’inizio della guerra milioni di persone si ritrovano intrappolate. Se quasi cinque milioni di siriani che sono riusciti a scappare dal paese, altri rimangono intrappolate nelle aree del conflitto con chance sempre minori di avere possibilità di asilo a causa delle restrizioni dei flussi sempre più rigide adottate da alcuni Paesi.
700mila i civili intrappolati ad Afrin, la città curda nel nord-ovest sotto l’assedio di forze speciali turche e ribelli loro alleati, e 400mila sono ormai allo stremo sempre nella Ghouta. Altri bloccati al confine con la Giordania. Centinaia di migliaia respinti alla frontiera con la Turchia.
In totale i profughi sono milioni e si trovano nei Paesi confinanti con la Siria o in Nord Africa.
Più di 1 milione sono ospitati in Libano in campi informali con oltre 1.700 comunità locali coinvolte.
Oltre 3 milioni di persone si trovano in Turchia. Più di 650 mila in Giordania (di sui solo il 21% sono accolti in campi ufficiali). 230mila in Iraq.115mila in Egitto. 29mila negli altri Paesi del Nord Africa.
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