(5 APRILE 2020) COVID 19, DIETRO L’ANGOLO SILENTI ROVINE – Francamente, mai come adesso sento l’età come un fattore non soltanto di maggiore rischio salute, ma come un valore, perché l’esperienza maturata nel tempo può fare la differenza in termini di assoluto buon senso. Per questo, mi risulta patetica la disputa sull’uso o meno delle mascherine. E’ ovvio, che non farne uso sarebbe indice di cessato allarme da possibile contagio, oppure di problematica mancanza di dispositivi. Onestamente ho sobbalzato, sono rimasto basito dall’affermazione del Capo della Protezione Civile, circa la sua scelta a “viso aperto” per la soluzione base del “distanziamento sociale”, salvo contingenza. Come sapete, sulla capacità e sulle modalità di diffusione del Coronavirus ci sono molte e diverse opinioni, anche tra gli uomini di scienza. Come anticipato ieri, la prevenzione è la prevenzione, oppure un eufemismo dalle possibili conseguenze catastrofiche. Dunque, ovunque e comunque, compresa l’abitazione, se necessario, occorre mantenere una ferrea profilassi, almeno sin tanto che il monitoraggio certificato con tampone non sia esaustivo, che sia certo lo stato di salute di ognuno, per un periodo di tempo tale da garantirci anche da fenomeni di ritorno. Soltanto chi ha visto la morte in faccia può capire il valore ed il significato della vita propria ed altrui, quindi intuire cosa si può nascondere dietro l’angolo della superficiale permissività. E voglio ricordare anche la tristezza della morte in solitudine delle migliaia di vittime falciate senza riparo, perché non è soltanto un problema sopravvenuto con l’attuale pandemia, ma una questione antica. Credo che non ci sia maggiore crudeltà, in nome dei protocolli e della burocrazia, che quella di impedire l’accompagnamento al trapasso, nella trasmutazione degli affetti, di cogliere quel percettibile lievitare dell’anima, tal quale lo scaturire del primo vagito. La pietas non può non essere componente essenziale di una sanità morale, di un contesto solidale di cui tutti finiamo per essere elementi fragili ed esposti, per cui si debba pensare seriamente ad un protocollo che implichi la possibile presenza dei congiunti in prossimità dell’estremo momento, salvo impedimenti oggettivi. Infine, consentitemi una visione surreale, ma reale, il fenomeno della desertificazione generatosi in conseguenza della pandemia, almeno per certi luoghi simbolo della nostra presenza aliena sul Globo: da qualche giorno l’immaginifico “fantafuturista” occupa progressivamente le mie fughe oniriche, al punto di dubitare che, quanto percepito come incubo, non possa essere più una suggestione premonitoria da affidare alla pizia, ma la descrizione di quanto è già, di quello che rifiutiamo di percepire. L’umanità si sta rapidamente rattrappendo nel proprio millenario humus antropico, negli artifici che ha generato, tra gli ingranaggi di un meccanismo astruso che va rallentando, prossimo a fermarsi: non più mefitici fumi, non più roboare tumultuoso d’innaturale vita, ma sereni orizzonti e silenti rovine.