L’arma non fa la differenza e nemmeno il numero dei congiurati, ma il sentimento sì, quello con cui gli assassini compiono il loro gesto contro natura. Shinzo Abe, protagonista di gentile rinascenza, non soltanto per il Paese del Sol Levante, è stato colpito alla schiena, come lo fu Giulio Cesare, simbolo assoluto della conquistata grandezza di Roma, 2066 anni fa. Le storie dei due personaggi sono sicuramente diverse, ma il comune hanno avuto il ruolo di leader visionari, capaci di emozionare, di lasciare il segno tra la propria gente e nel mondo, sicuramente capaci di suscitare i migliori come i peggiori flussi umorali, sino a diventare soggetti predestinati, sacrificali in un processo di mitizzazione. Ecco, come capitò nel 212 a.C. ad Archimede e nel 1963 a John Fitzgerald Kennedy, dietro la mano assassina sicuramente si celano anche interessi indegni di qualsiasi considerazione, ma paradossalmente, salvo il danno irreparabile alla persona colpita, alla collettività che ne subisca la perdita, l’effetto del misfatto come una eco infinita si reverbera nel tempo e nello spazio, consegnando la figura della vittima e adesso quella di Shinzo Abe all’immortalità. E poi, consentitemi di ricordare il premier giapponese come straordinario protagonista di questo movimento insorgente che invoca il diritto alla gioia, in particolare nella sua veste di “Super Mario”, quando lui si manifestò in modo spettacolare in quel di Rio, nel 2016, durante la Cerimonia di Chiusura dei Giochi Olimpici per annunciare quella successiva di Tokio 2020. In quella occasione Shinzo si era superato, rivelando la sua vera natura e forse segnando il proprio stesso destino.