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RIFLESSIONI DEL DIRETTORE – SCUOLA E SPORT, DA DE AMICIS A ORMEZZANO

Da “Amore e Ginnastica” di Edmondo De Amicis  a “I Cantaglorie” di Gian Paolo Ormezzano ci passano 124 anni e questa ultima opera, primo premio del cinquantesimo Concorso Letterario CONI, li riassume attraverso i suoi protagonisti, virtuosi della penna e del microfono. Non vi nascondo che a volte ho l’impressione che molti di coloro che, come me, hanno trascorso buona parte della propria esistenza nel mondo ciclico dello sport, non siano consapevoli sino in fondo dell’algoritmo di cui sono più o meno protagonisti, se non prigionieri. Penso questo, perché, se per un verso è confortevole sentire che finalmente sono stati sbloccati fondi e messi a concorso posti per professionisti fondamentali per la qualità della vita, come gli insegnanti di educazione fisica o se preferite dottori in scienze motorie, per l’altro è difficile capacitarsi di come principi e ordinamenti acclarati fin dal XIX Secolo da un Ministro della Pubblica Istruzione come Francesco De Sanctis, siano oggi riproposti con enfasi, come una conquista del Terzo Millennio, dall’attuale Ministra della Pubblica Istruzione, Università e Ricerca, Stefania Giannini. Parlare di due ore di educazione fisica alla settimana come di una rottura degli schemi, di una sorta di pacificazione tra studio e attività fisica, di una visione moderna e illuminata della buona scuola, ispirata al progetto “Sport di Classe”, sembra adesso una cosa straordinaria, soprattutto se si aprono le porte delle scuole primarie, ma al contempo si rimane basiti per il fatto che, questa idea della conquista o della gentile concessione a beneficio della educazione ad uno stile di vita corretto o tout court della salute, sia avvertita come l’inizio di una rivoluzione, piuttosto che come il riconoscimento assolutamente parziale di un danno gravissimo inferto per decenni alla società civile italiana. Due ore al posto di niente, contro le cinque sacrosante da sempre negate: la miope ostilità per l’attività fisica da parte dei demiurghi italiani dell’istruzione ha fatto sì che intere generazioni siano cresciute in una situazione di ingiustizia sociale, afflitte da obesità e bullismo, orientate a sfizi ben lontani dalla pratica motoria e sportiva o imprigionate nel mito effimero di uno sport esclusivo, foriero di gloria e benefici economici straordinari. Eppure, gli educatori e i dirigenti, uomini illuminati e responsabili non ci sono mancati, a partire proprio dalla famosa legge De Sanctis n. 4442 del 7 luglio 1878. Naturalmente, non ci si può che complimentare con il CONI e Giovanni Malagò per l’ulteriore affermazione, ma, nessuno me ne voglia, va sottolineato che se il Comitato Olimpico ha il merito di aver esercitato una fondamentale pressione sul Governo, dall’altra parte non si può dimenticare che ben altro andrebbe fatto, senza celebrazioni da parte del Ministero, posto che il nostro Paese è rimasto anni luce indietro sullo sport nella scuola e nella università, almeno secondo esperienze e parametri delle società veramente civili ed evolute del Pianeta. Stesso discorso vale per la nostra letteratura e comunicazione sportiva, proprio per il ruolo educativo e culturale che è chiamata ad esercitare. Ancora l’altro ieri, nel Salone d’Onore del CONI, ci si è rallegrati per le creazioni di scrittori, saggisti, giornalisti che, con il supporto di case editrici o media anche importanti, hanno arricchito la letteratura e la comunicazione sportiva con opere preziose e interessanti, stimolanti, ma si sono ancora sentite note trionfali per il fatto che oggi scrivere di sport non è considerato più di serie B o ispirazione suscitata da un Dio minore. Questa è una storia vecchia, che andrebbe risolta ribaltando il tavolo, ovvero uscendo dalla autoreferenzialità di premi e riconoscimenti contestualizzati e partoriti nel mondo sportivo, ma entrando in una logica diversa e più adeguata, ovvero quella di affermare senza mezzi termini – a livello istituzionale e nell’immaginario collettivo – il primato dello sport come sfera elettiva della bellezza fisica e morale, come fucina straordinaria di cultura e di opportunità, di emozioni, di coraggio e di temperanza, come matrice ideale dei buoni sentimenti, in grado di formare ed esprimere i migliori tra coloro che della comunicazione e della narrazione fanno una professione ed un’arte al servizio della collettività. Essere capaci di trattare la materia sportiva, di trasferirne valori, sfumature, toni, enzimi così delicati e così preziosi da gestire, non è cosa da tutti ed è proprio per questo che, da Pindaro in poi, quando qualcuno viene indicato come maestro cantore dello sport, questo dovrebbe essere considerato un assoluto privilegio, una straordinaria qualifica, cui dovrebbero ambire semmai anche coloro che trovano più facile soddisfazione nell’approccio generalista con il racconto e la notizia.

Ruggero Alcanterini

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