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RIFLESSIONI DEL DIRETTORE – ROMA TREMA

Puntualmente ci troviamo di fronte alla dimostrazione estrema nella efficienza del soccorso, alla generosità ed alla solidarietà concreta e morale in cui gli italiani non sono secondi a nessuno. Purtroppo, però, la terra che abitano, il Bel Paese è geologicamente molto giovane, frutto del contrasto tra placche continentali, quindi ad altissimo rischio sismico, secondo soltanto alla Grecia, in Europa. Questo comporterebbe ben altro atteggiamento di governo, diciamo il coraggio di sovvertire l’ordine delle priorità di programma e di spesa, tenendo conto dei dati oggettivi, storici che ci impongono scelte obbligate e immediate, posto che sinora averle disattese ha comportato una serie innumerevole di tragedie e di danni, cui abbiamo sistematicamente tentato di porre riparo, piangendo lacrime amare sulle rovine irreparabili fatte di vite spezzate, realtà sociali distrutte, arte e storia buttate in discarica. Eppure, non ci mancano gli uomini di scienza e coscienza in grado di curare la strategia della prevenzione su basi valutative serie, ma posti ai margini delle scelte e dei provvedimenti, inascoltati e precari. Eppure basterebbe fare leva sulla memoria, sulla storia drammatica della sismicità in Italia, per capire che il problema non è mai stato contingente nel tempo e nello spazio, ma sistemico e ricorrente, ancorchè ampio e dirompente, sino a coprire l’intero territorio nazionale, salvo la Sardegna, che risulta stabile da ben sette milioni di anni, esclusa dalla linea di frattura tra Africa ed Europa-Asia, che diversamente percorre tutto lo Stivale , dalla Sicilia al Friuli. I terremoti originati dalle dorsali appenninica e alpina, oltre che dall’attività vulcanica, hanno quindi caratterizzato la nostra storia e se ne hanno notizie sin dal 217 a.C. (Etruria), 174 a.C. (Sabina) 100 a.C. (Picenum) 99 a.C. (Norcia)… Volendo fare riferimento alla orribile attualità di questi giorni, possiamo ricordare anche il sisma d Rieti nel 76 a.C. o quello di Teate nel 68 a.C. Sorvolando su tutti gli altri cataclismi in giro per l’Italico Stivale, compresa la famosa super catastrofe di area vesuviana del 79 d.C (preceduta da un episodio del 72 che vide il crollo del Teatro a Neapolis) che cancellò, anche con il gas e la lava, Pompei, Stabiae ed Ercolano, passando per il secondo terremoto di Benevento nel 379, che fece migliaia di vittime, arriviamo a due inquietanti episodi riguardanti Roma, nel 442 e 476 , quando la Città riportò gravi distruzioni riguardanti la Colonna Traiana, il Teatro di Pompeo, la Basilica di San Paolo e lo stesso Colosseo, che tornò a sbriciolarsi nell’847, mentre due anni dopo cadde anche l’obelisco attualmente in piazza Montecitorio. Nel 1349, un evento riguardante l’area appenninica da Perugia a Benevento, coinvolse Roma al punto di far crollare anche parte della Torre delle Milizie. Nel 1351, Petrarca affermava di aver trovato Roma in un grave stato di prostrazione, proprio a seguito di quel sisma. Nel 1438 tornò a farsi sentire il Vulcano Laziale che, con un potete sussulto, mise a soqquadro i Castelli e parte della stessa Roma. La cosa che colpisce è il ricorrere di catastrofi sismiche nel beneventano: nel 1456 vi avvenne il big bang del secondo millennio che con circa trentamila vittime convolse un’area vastissima, dal Sannio, al Matese, al Molise, all’Irpinia, all’Abruzzo, a Napoli. Poi, nel 1703, la volta del grande terremoto che colpì e distrusse la stessa Amatrice con oltre quaranta repliche su Roma. Le tracce, le cicatrici di tutti questi eventi naturali violenti sono tuttora visibili negli strati archeologici e sui monumenti della Città: impressionanti negli scavi sotto Palazzo Valenti, Palazzo Spada ed altrove. Questo per smentire chi, facendosi forte della teoria “Pneumatica” di Aristotele, pensa che Roma sia protetta dalle sue cavità sotterrane, dai tufi e dagli insabbiamenti golenali del Tevere. Diciamo allora che, se annoveriamo come Santo protettore dai terremoti, il Vescovo Elpidio, che sembra riuscì a preservare Ascoli Piceno, come esempio adamantino, a breve e futura memoria, per le scelte da farsi su ricostruzione e prevenzione, non posso che citare Araldo di Crollalanza, Ministro dei Lavori Pubblici, precettato da Mussolini per intervenire dopo il terremoto del Vulture (Potenza, Matera, Benevento, Avellino e Foggia) nel 1930, passato alla storia non solo per aver dato a Bari le strutture urbanistiche di cui ancora gode, compresa la Fiera del Levante, piuttosto che la cura della Bonifica Pontina, la costruzione di Città di fondazione come Littoria (Pomezia) ed Aprilia, ma soprattutto per aver affrontato e risolto con straordinaria determinazione, capacità ed onestà una situazione impossibile.
*** “Araldo di Crollalanza non si allontanò mai dalla zona sinistrata, adattandosi a dormire in una vettura del treno speciale che si spostava, con il relativo ufficio tecnico, da una stazione all’altra per seguire direttamente le opere di ricostruzione. A soli tre mesi dal catastrofico sisma, e precisamente il 28 ottobre 1930, le prime case vennero consegnate alle popolazioni della Campania, della Lucania e della Puglia. Furono costruite 3.746 case e riparate 5.190 abitazioni. Mussolini salutò il suo Ministro dei Lavori Pubblici al termine della sua opera con queste parole: Eccellenza Di Crollalanza, lo Stato italiano La ringrazia non per aver ricostruito in pochi mesi perché era Suo preciso dovere, ma la ringrazia per aver fatto risparmiare all’erario 500 mila lire. L’intervento complessivo, difatti era venuto anche a costare meno del previsto e quindi Araldo di Crollalanza restituì il resto dei soldi non spesi. Nonostante il breve tempo impiegato nel costruirle e nonostante i mezzi tecnologici relativamente antiquati di cui poteva disporre l’Italia del 1930, le palazzine edificate in questo periodo resistettero ad un altro importante terremoto che colpì la stessa area 50 anni dopo”.

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