Francamente, il mio fido “labrabull” ha abbaiato gioioso, riconoscendo il gesto canino di Mertens e mi devo complimentare con il Napoli per aver vinto, utilizzando al meglio le occasioni da rete , nonché dolermi per la Roma, che ha sprecato per l’ennesima volta le tante opportunità create dall’algoritmo del gioco, giusto all’Olimpico, dove il Comitato Fair Play , che presiedo, è di casa. Si, per carità, dovrei essere l’ultimo ad impicciarmi di un episodio del calcio professionistico, che poco garantisce la genuinità necessaria per testare e valutare sentimenti, che sembrerebbero davvero lontani, quando si parla di senso di appartenenza con professionisti adusi al cambio mercenario della maglia, coperti indistintamente da una metaforica spessa coltre di pelo e da migliaia di tatuaggi, anche a quattro dimensioni. Ma tant’è ed io vorrei capire come si fa ad ignorare che l’eccellenza, oltre che l’energia fisica, la fanno il talento e il raro senso dell’appartenenza, quel talento, quel quid, che non è perfettamente definibile, ma che fa la differenza in ogni sana competizione ? Bene, io dico che il Napoli ha vinto giustamente, perché il Mister “ giallorosso “ ha lasciato per l’ennesima volta la bandiera, l’essenza dell’appartenenza in panchina. Non so dire se il risultato sarebbe cambiato, ma lasciare sistematicamente a bordo campo un campione conclamato come Francesco Totti lascia intendere come strane pulsioni masochiste possano prevalere sulla logica ed anche sul cuore… un vero rebus.
Ruggero Alcanterini
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