Altro che giornalisti e scrittori della domenica e del lunedì: la combinazione chimica tra il fascinoso caleidoscopico tema dello sport, declinato nelle sue mille variabili e l’immaginifica creatività dei grandi autori – capaci di farsi leggere dai contemporanei e dalle generazioni successive – è da sempre in grado di accendere la fantasia, la luce più viva dell’intelletto, di attrarre attenzione e generare cultura. Ieri vi ricordavo De Amicis con il suo “Amore e ginnastica”, oggi passo ad un altro gigante del XIX Secolo, capace di influenzare gusti e tendenze del “ventesimo”, ad Alfredo Oriani, giornalista, scrittore, poeta, storico e pioniere del cicloturismo. Lui lo sport a due ruote lo scoprì a 45 anni e se ne innamorò a prima vista. La sua adorata bici, compagna di avventure nel casentinese e non solo, pesava sui tredici chili ed aveva un rapporto fisso, terribile sulle salite. Barba al vento, intrepido sui pedali, Oriani, gigante della penna, dopo LA GELOSIA, IL VORTICE e LA DISFATTA, scrisse appunto tra il 1897 e il 1902 LA BICICLETTA, sommatoria di bellissime dissertazioni, novelle, racconti, invito al “randagismo” su due ruote nei luoghi più belli e reconditi della Toscana di allora. Benedetto Croce giudicò “La Bicicletta” come l’opera più bella del “Maestro Cantore” Alfredo Oriani che, volato in Borea nel 1909, ad appena cinquantasette anni, fu prima enfatizzato dal fascismo e poi demonizzato dall’antifascismo, suo malgrado. Per la storia e per il piacere di leggerlo, il libro di Oriani, pietra miliare per la letteratura e per gli estimatori della pedivella è articolato in tre parti: L‘IDEA (l’ode, la macchina, gli ultimi difetti, i corridori, la corsa dell’ora, il vincitore, i dilettanti, il piacere, il mio maestro) IL GRUPPO DRAMMATICO (il velocipede, la bicicletta, il tandem, il triciclo) SUL PEDALE. …“Il piacere della bicicletta è quello stesso della libertà, forse meglio di una liberazione andarsene ovunque, ad ogni momento, arrestandosi alla prima velleità di capriccio, senza preoccupazioni come per un cavallo. La bicicletta siamo ancora noi, che vinciamo lo spazio e il tempo; stiamo in bilico e quindi nella indecisione di un giuoco colla tranquilla sicurezza di vincere; siamo soli senza nemmeno il contatto colla terra, che le nostre ruote sfiorano appena, quasi in balia del vento, contro il quale lottiamo come un uccello. Non è il viaggio o la sua economia nel compierlo che ci soddisfa, ma la facoltà appunto di interromperlo o mutarlo, quella poesia istintiva di una improvvisazione spensierata, mentre una forza orgogliosa ci gonfia il cuore di sentirci così liberi. Domani la carrozzella automobile ci permetterà viaggi più rapidi e più lunghi, ma non saremo più né così liberi né così soli: la carrozzella non potrà identificarsi con noi come la bicicletta, non saranno le nostre gambe che muovono gli stantuffi, non sarà il nostro soffio che la spinge nelle salite. Seduti come in un treno non ci tornerà più l’illusione di essere giovani, correndo con l’impeto stesso della giovinezza; ma la nuova macchina c’imporrà le preoccupazioni dei propri guasti non riparabili al momento, c’impedirà di sognare, perché, non potremo più guidarla istintivamente, e ci darà il doloroso del limite, appunto perché separata da noi, sospinta da una forza che non può fondersi con la nostra“. (Alfredo Oriani)
Ruggero Alcanterini
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