Mi sembra di sentire le note e il canto di Alberto Sordi e Monica Vitti in “Polvere di Stelle”, un inno quasi scaramantico, un “chi se ne frega!” del disastro in corso tra le alterne vicende della Seconda Guerra Mondiale e quella civile negli anni quaranta. Dopo quasi ottant’anni, il clima non è cambiato di molto e stentiamo a convincerci di essere in grado di risolvere problemi di forma di sostanza una volta forse impensabili. Siamo nel dubbio di fronte a treni su binario unico, buche nelle strade, fogne intasate, migranti accampati nei giardini pubblici. Olimpiadi si, olimpiadi no a Roma, quando cinquantasei anni fa siamo stati capaci di organizzarle al meglio… Allora, usciamo dalla avvilente farsa per entrare nella splendida realtà di Rosetta, la sonda spaziale anche italiana, che ieri la polvere delle stelle è andata ad annusarla, assaggiarla, palpeggiarla sulla Cometa “67P/Churiumov-Gerasimenko”, confermando che l’uomo è un alieno sulla terra e gli italiani sono alieni tra gli uomini nel cosmo, da dove siamo venuti e dove saremo presto obbligati a tornare, scegliendoci un nuovo pianeta dove andare a fare danno. La stele di Rosetta ritrovata nel 1799 ha dato la soluzione all’antico rebus dei geroglifici egizi, secondo la regola che non tutti mali i vengono per nuocere e che le guerre, magari “napoleoniche”, hanno sortito a volte risultati utili per il divenire della conoscenza e con questo della nostra inquietante umanità. Quando Jean-François Champollion nel 1822 seppe dare una risposta certa ai dubbi amletici di Athanasius Kircher ed altri angosciati ricercatori si apri un progressione geometrica per le nostre capacità innovative, delle quali dovremmo essere tutti più consapevoli. Penso convenga provare a volare per cogliere la polvere delle stelle, piuttosto che ristagnare nel dubbio e nel guano delle stalle.
Ruggero Alcanterini
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