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RIFLESSIONI DEL DIRETTORE – “FAIR PLAY & SOCIETA’, LO SPORT FA I CONTI CON IL PRIMO RAPPORTO DEL CENSIS”

Di Ruggero Alcanterini

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17 FEBBRAIO 2015 – OGGI, PRENDO SPUNTO DALLA PONDEROSA RICERCA CHE FECE “NOMISMA” CON ROMANO PRODI SUL TEMA “SPORT ED ECONOMIA” E CHE FU PRESENTATO NEL 1991. NEL 2008 SI TORNO’ SULL’ARGOMENTO ATTRAVERSO IL RAPPORTO DEL CENSIS, CHE MISE IN EVIDENZA L’ESIGENZA DI UN VERO E PROPRIO FAIR PLAY FINANZIARIO GLOBALIZZATO A SOSTEGNO DELLO SPORT CONTESTUALIZZATO NEL SISTEMA SOCIALE. SETTE ANNI FA, SCRISSI SU “FAIR PLAY NEWS” QUALCOSA, CHE NEL FRATTEMPO NON HA PERSO, MA HA ACQUISTATO FORZA IN TERMINI DI ATTUALITA’ :

 

 

 

“FAIR PLAY & SOCIETA’, LO SPORT FA I CONTI CON IL PRIMO RAPPORTO DEL CENSIS” –

 

 

 

In attesa della versione completa dello studio realizzato in collaborazione tra CONI e CENSIS, valutiamo la sintesi del Rapporto su Sport e Società in Italia, aggiornato al giorno 11 novembre (2008) data una volta ricordata come la “Estate di S. Martino”… Prima di entrare nel dettaglio per la parte che più ci riguarda e che è stata oggetto di un’attenzione particolare, adeguata alla importanza assunta nel sociale dagli aspetti etici dell’attività sportiva, desideriamo sottolineare come la presentazione del RAPPORTO abbia recuperato strategicamente, nei prodomi del Congresso del CONI e delle sue Federazioni, quella che era stata la straordinaria funzione dei Libri Bianco, Verde e Azzurro presentati da Giulio Onesti nel 1966, 1971 e 1975, l’elaborato “Gli Italiani e lo Sport” di Donato Martucci sempre nel 1966, le conclusioni del Comitato per lo studio dei problemi della gioventù, istituito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel 1970, le conclusioni delle tre Conferenze Nazionali dello Sport organizzate nel 1978, nel 1988 e nel 2000 la straordinaria e complessa kermesse “SportUomo” a Torino nel 1980, il Congresso Olimpico del 1992, i disegni ed i progetti di legge di riforma dello sport partoriti dai più diversi governi del Paese tra il 1962 e il 1992 (uno per tutti quello del Ministro Lagorio nel 1984) Se non basta, possiamo aggiungere i due Piani di Programmazione Economica presentati da Pieraccini, nel 1966 e il 1975, le innumerevoli proposte singole ed unitarie degli Enti di promozione Sportiva ( anche in sinergia con le forze sindacali) lo studio su Sport ed Economia commissionato a Nomisma dalla Fondazione “Onesti” e presentato personalmente da Romano Prodi nel 1991, i rapporti sullo sport italiano realizzati dall’IREF e dallo stesso CENSIS (1990/1994).Il tutto senza prescindere dalla basilare Carta dello Sport di Augusto Turati del 1929 e la Legge di definitivo inquadramento dello sport italiano –quella istitutiva del CONI- del 1942, nonché lo studio sullo sport realizzato nel 1939 dal Regime Fascista, quando fu pubblicato un dettagliato rapporto, analogo a quello attuale, fatte le debite proporzioni e distinzioni di carattere storico…, ovvero un bilancio in sintesi di 7.811.547 giovani, 105.883 universitari e 3.832.248 lavoratori praticanti lo sport e inquadrati tra CONI, Federazioni, GIL, GUF e OND.

 

Non abbiamo una idea precisa di quanto sia cambiata la sensibilità dei vari attori rispetto alla cosa sportiva, ma ci coglie il dubbio che tutto sommato la palla sia sempre rimasta al centro… Infatti, ascoltando le conclusioni del Presidente del Censis, Giuseppe De Rita, abbiamo provato antiche sensazioni, via via abbiamo colto sfumature dal tono nostalgico, reminiscenze di un impegnato pensare allo sport, come fenomeno complesso e dalle grandi straordinarie potenzialità sociali, di vocazioni inespresse, di contraddizioni non nei termini, ma nei fatti, appelli al buon senso, sino a sentirsi muovere finanche gli arrugginiti ingranaggi delle nostre pulsioni emotive: De Rita stava parlando come i vecchi saggi del nostro sport, come Angelo Mosso e Lando Ferretti, con straordinaria naturalezza e fuori dalla rigida e finanche noiosa schematicità delle relazioni tecnico-scientifico-socio-statistiche, che inesorabilmente si abbattono sull’uditorio in certe occasioni. De Rita parlava come i nostri ormai mitici maestri, da Zauli ad Onesti, da Saini a Nostini, da Notario a Guabello, da Zamagni a Berra, da Ghirelli a Morandi, da Villa a Missaglia… Ci stava ricordando che i nodi da sciogliere sono nel sistema di governo, nello Stato, ma anche ed in particolare nella scuola, nella famiglia e tra di noi dello sport, che non riusciamo a liberarci dalla spirale viziosa in cui siamo imprigionati ormai da ottant’anni, ovvero da quando il CONI è stato designato come centro dell’universo sportivo italiano e quindi la presunta autonomia dello sport è divenuta delizia, ma anche croce, spesso un comodo alibi per defilarsi di fronte alle incalzanti ed a volte mostruose problematiche strutturali e sociali da affrontare e che spesso nulla hanno a che vedere con le competenze prevalentemente tecnico agonistiche del CONI e delle Federazioni Sportive.

 

Diciamo che il nuovo Rapporto sullo Sport Italiano, il primo del CENSIS e dello stesso CONI, sulla variante fondamentale della Società è o potrebbe essere la ennesima opportunità di riflessione per chi governa il Paese e dovrebbe assumersi l’onere di una seria riforma, che ponga nella giusta posizione e condizione le straordinarie competenze del CONI e dell’Associazionismo Sportivo, affrontando al contempo la questione di fondo, quella sociale ed educativa, quella del wellbeing, dello stare bene in salute fisica e mentale e dei suoi coinvolgimenti nell’area del wellfare, della pubblica istruzione, delle infrastrutture, della cultura, della società civile e dei servizi sociali, dell’ordine pubblico e delle forze armate, del sistema Regioni-Enti Locali, del rapporto con l’Europa e con i suoi standard di cultura e di pratica sportiva, quindi di salute complessiva e di qualità della vita dei cittadini. E’ paradossale, che ogni qualvolta si abbia bisogno di testimonials suggestivi per l’immaginario collettivo si ricorra prevalentemente agli sportivi e poi ce se dimentichi, salvo la pura esercitazione dei numeri relativi al finanziamento pubblico e la loro proporzionale ricaduta su medaglie olimpiche ed eventi mondiali… Il solito problema della foglia di fico, della immagine del Paese ad ogni costo, di cui ipocritamente poi taluni contestano l’onere, mentre altri partners europei si preoccupano soprattutto di garantire ai cittadini il diritto allo sport, tanto quanto quello alla salute, investendo nella logica elementare di più sport, meno spese per la sanità. Quindi nella scelta della qualità degli investimenti e degli obiettivi da raggiungere, senza aumento della spesa complessiva da parte dello Stato per welfare istruzione, infrastrutture etc., stante la trasversalità dello sport. Quindi con l’assunto che se si deve tagliare si tagli pure, di qua e di la, ma si investa e si spenda nello sport sociale giustappunto per prevenire e contenere con vantaggio certo disagi e maggiori spese per le cure…

 

Bene, il discorso di De Rita a noi ha fatto effetto e non escludiamo o per lo meno ci auguriamo che faccia effetto ad altri. In definitiva, se abbiamo da tempo consolidato il medagliere, ora dovremmo fare una Italia sportiva, intesa come collettività e consesso civile, degna delle medaglie.

 

Passiamo dunque al Rapporto CONI-CENSIS, per quello che più ci riguarda, ovvero quanto sinteticamente riportato in tre pagine della sintesi di 67 complessive e titolate convenzionalmente come Valori e Disvalori dello Sport.

 

Certo, qui c’è da sorprendersi come gli argomenti di carattere socio-culturale ed etico appaiano così incisivi rispetto alla qualità della pratica e dell’attività sportiva nella sua complessità, in un Rapporto come quello presentato, tanto da determinare il motivo dichiarato della ricerca e poi però venga liquidato lo sport per tutti in poche battute e dati tra le righe, mentre il fair play si accredita come un dettaglio nella tabella dei valori e non come la chiave di volta, lo stile di comportamento sportivo e di vita che, come dice Antonio Ghirelli, di fatto costituisce la regola numero uno, ovvero è e dovrebbe essere la pietra angolare di ogni attività sportiva, poi regolamentata dalle diverse normative tecnico-giuridico-organizzative.

 

Dunque, siamo di fronte ad un problema, potremmo dire il solito, conoscendo bene la filosofia ricorrente di tutti gli studi istituzionali fatti nell’ultimo mezzo secolo: si parte sempre dal presupposto sbagliato, che lo sport sia un privilegio riservato a chi a torto o ragione lo merita, una condizione elitaria che prescinde dall’idea di servizio educativo e salutare dovuto dallo Stato nei confronti di tutti i cittadini di qualsiasi censo, età, sesso e condizione di abilità. Si parla d’immagine positiva dello sport, nonostante i disvalori associati al doping, ai problemi del professionismo, alla violenza, etc. Lo sport non si deve necessariamente identificare attraverso fenomeni estremi, anche se comprendiamo che l’immaginario collettivo suggestionato dai media finisce per avere una concezione distorta dei valori e del più elementare di questi, come appunto lo sport come diritto e non come opzione possibile … Ma veniamo alle tabelle, che sono esemplificative del principio che dell’etica si dovrebbe necessariamente fare la ragione principale, la leva essenziale del sistema… Lo spirito di squadra, la tolleranza, il rispetto per gli altri, l’autocontrollo, il rispetto delle regole, la disciplina, la comprensione reciproca, la solidarietà, l’amicizia, l’uguaglianza, l’onestà, la gioia di vivere sono tutte voci espresse storicamente dal decalogo conclamato del Fair Play, in tutte le sue espressioni di riferimento a livello internazionale, europeo e nazionali, ma nella tabella dei valori del Rapporto rappresentano paradossalmente voci autonome con percentuali attribuite per quattro differenti categorie d’età: il fair play che riassume per forza tutte queste voci e questi valori non è che la quindicesima voce in tabella, tanto quanto la forza e la volontà, che costituiscono elementi di certo non distinguenti tra il bene ed il male… Percentualmente svettano lo spirito di squadra con il 40 per cento e la disciplina con una forbice tra il 33 e il 48 per cento. Invece, le voci sono più chiare e dirimenti quando si tratta dei disvalori, ovvero di doping, violenza dei tifosi, discriminazioni, eccesso d’interessi economici, abuso d’integratori alimentari, corruzione, che convivono con l’eccesso di diffusione sui media, sfruttamento del lavoro minorile e di popolazioni del terzo mondo, cattivo esempio per le nuove generazioni, eccessivo giro d’affari… Ci sembra importante il dato che vede attribuire la qualifica di cancro al doping ed alla violenza dentro e fuori degli stadi, rispettivamente dal 66 e dal 61 per cento della pubblica opinione, che invece si preoccupa della corruzione limitatamente al 21 per cento.

 

Per concludere, il rapporto è onesto, risponde specularmente allo stato delle cose, o meglio dell’arte, dimostrando una volta di più quanto siano velleitari i propositi di riscatto etico e culturale di chi si occupa dello sport, spesso episodicamente e sul versante del contrasto ai disvalori conclamati, fuori e dentro il sistema sportivo, spesso nella veste di tutore dell’ordine e della legge, quindi con compiti necessariamente repressivi e quasi mai educativi, mentre come ricordava De Rita basterebbe rivalutare lo sport nella scuola e riequilibrare l’assetto dell’articolata organizzazione sportiva del nostro Paese. Comunque la vita continua e possiamo perseverare nel compiacerci del bicchiere mezzo pieno, ovvero facendo di necessità virtù.

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