Quello che mi lascia perplesso è il fatto che ci si debba preoccupare di mettere in evidenza quello che all’evidenza appartiene. E non mi riferisco in particolare alle “pubblicazioni” olimpiche di matrimoni etero o unioni gay, quanto al fatto che tutto ciò avvenga con clamore, ovvero che il privato reso pubblico batta di gran lunga la normalità. Stesso ragionamento dunque vale per tutte le situazioni, dove non c’è certezza assoluta sulla genuinità del risultato, ovvero interviene in modo determinante il giudizio umano, sia pure collettivo e mediato, piuttosto che in presenza di carenze dell’ausilio tecnico. Diversamente prezioso sembrerebbe l’oro di competizioni ai margini del tempio olimpico, anche se non risultano affatto ininfluenti rispetto all’irrinunciabile medagliere per nazioni. Ad esempio, l’attesa per la conclusione del bellissimo torneo di beach volley a Rio, equivale a quella per le fasi finali della pallanuoto, per via delle possibili vittorie “azzurre”, ma finiti i Giochi, nell’economia mediatica, quanto peso continueranno ad avere discipline come il nuoto di fondo, piuttosto che il tiro con l’arco…? E poi, come è mai possibile che la danza sportiva e il pattinaggio a rotelle continuino a star fuori dal programma olimpico, nonostante la loro storica popolarità universale, quando si fa invece spazio a novità di nicchia? Credo che, oltre la questione spaventosa del doping, molti altri argomenti dovrebbero occupare i tavoli di lavoro del CIO e dei propri collaboratori, dove pesi e contrappesi, questioni di opportunità politica ed altro non appaiono assolutamente estranee. Credo che le questioni di fair play non dovrebbero essere eccezionalmente affrontate, come nel caso della espulsione del judoka egiziano, ma dovrebbero essere risolte a priori, dando più peso al rispetto delle regole etiche e al valore educativo dei comportamenti olimpici, perché suscettibili di fenomeni emulativi su scala universale: la salute del Pianeta dipende dal fattore antropico e non si tratta solamente di inquinamento, che ne è uno degli effetti, ma di una questione chiave di tipo comportamentale, perché se non si è leali nello sport, tanto meno lo si è nei confronti dei propri simili e della stessa natura. E concludo: ma è mai possibile che in sede olimpica ci si ponga soltanto il tema di come arricchire la fiera delle vanità, di edizione in edizione, piuttosto che cogliere l’occasione per sottolineare ed evidenziare le matrici sociali e culturali di questo straordinario fenomeno che è lo sport e coglierne il deterrente davvero unico e potenzialmente salvifico a beneficio dell’umanità? Forse l’antico spirito olimpico era proprio diverso.
Ruggero Alcanterini
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